Ingres, la perfezione del neoclassicismo
Il percorso alla scoperta delle opere è aperto fino al 1 ottobre ed è intitolato L’artiste et ses princes (L’artista e i suoi principi). La ragione dietro questa denominazione risiede in un apparente classicismo da cui però traspaiono un’originalità e una ricerca della perfezione che continuano ad affascinare. Ad ospitare l’esposizione è la Salle du Jeu de Paume, un edificio storico nel parco del podere di Chantilly progettato nel 1756 dall’architetto Claude Billard de Bellisard per il principe Louis-Joseph de Bourbon-Condé. All’inizio il suo uso era tutt’altro che museale, bensì veniva utilizzato per uno sport in particolare, la pallacorda, abbastanza dinamico e antico antenato della pallapugno e del tennis. Adibito a museo nel XIX secolo dal duca D’Aumale, meglio noto come Enrico d’Orléans, l’ambiente storico e spazioso ospita oggi eventi e mostre temporanee, come quest’ultima di Ingres.
Ma chi è quest’artista le cui opere hanno oggi l’onore di risiedere in un luogo tanto prestigioso?
Jean-Auguste-Dominique Ingres nacque nel 1780 nel sud della Francia, precisamente nella città di Mountauban, nell’Occitania, da una famiglia di 7 figli. La madre era figlia analfabeta di un parrucchiere, il padre decoratore e miniatore. Fu proprio quest’ultimo a credere nelle potenzialità del figlio e ad incoraggiarlo verso una formazione artistica che incominciò a un’età decisamente precoce: 6 anni. L’arte di Raffaello avrebbe influenzato in maniera decisiva il giovane Ingres, che studiò a fondo e del
tutto affascinato la Roma antica alla stregua di Jacques-Luis David, grande artista che 20 anni prima aveva dato inizio alla rivoluzione neoclassica nella pittura. Una vita intrecciata alla Francia e all’Italia, Jean-Auguste-Dominique fu premiato dal successo solo nel 1841, molti anni dopo il suo esordio da artista. Morì a Parigi nel 1867 a causa di una polmonite, ma
la sua carriera di pittore e ritrattista di sovrani, come Napoleone, ha lasciato un grande segno. Le opere esposte al castello di Chantilly sono numerose, dagli autoritratti alle immagini impresse sulla tela dei sovrani, alle opere tipiche del neoclassicismo. Tra le tante La sorgente del 1856 che ricorda molto la Venere di Botticelli, con profili morbidi e delicati, la pelle che sembra illuminarsi di luce propria e le ombre sullo sfondo che fanno emergere nettamente i colori chiari. Ancora, una delle più belle esposte, la Contessa d’Haussonville del 1845, talmente dettagliata da sembrare una fotografia, un dipinto in grado di far viaggiare nel tempo, con un celeste intenso che emerge dallo sfondo e contrasta con il rosso del laccio nei capelli e il rosato delle guance della contessa. Ma la cosa che più colpisce di quest’opera sono le pieghe del vestito, che quasi fanno comprendere allo spettatore il materiale di cui questo era fatto, quasi come se si potesse toccare ancora. Non mancano nei ritratti dettagli luminosi sui gioielli e
sulle stoffe preziose, capaci di incantare. D’altronde, ad Ingres viene attribuita la frase: «I capolavori non sono fatti per sbalordire. Sono fatti per persuadere, per convincere, per entrare in noi attraverso i pori».
Impressionante venire a conoscenza della quantità di disegni preparatori che l’artista produceva prima di stendere l’opera su tela. Difatti l’apparente naturalezza e perfezione delle opere inganna: dietro vi sono una minuziosità estrema e il concetto della supremazia del disegno rispetto al colore, talmente tanto che un bozzetto diventava un’opera a sé per l’artista, da tutelare alla stregua di una tela probabilmente. Bozzetti di corpi, visi e abiti dello stesso soggetto, ripetuti in dimensioni differenti e su fogli di diversa fibra, triplicano o più la vastità del suo operato.