Ingrao, l’uomo che coltivava il dubbio
Quando ho sentito della sua morte ho sentito il solito freddo alle spalle che si avverte quando muore un po’ di quel passato che rende solido il nostro presente. Anch’io, che ho militato in banchi parlamentari decisamente opposti al suo, sento che è morto un Padre della nostra patria.
Ha attraversato il suo secolo di vita, come lui stesso spiegò, in un continuo “entusiastico” impegno alla “rivoluzione”. Il suo sforzo fu sempre quello di non subire mai la storia, a cominciare da quella sua prima scelta a ventuno anni, nel ’36. Di fronte alla guerra di Spagna contro gli autori del golpe nazionalista, opta decisamente per la scelta antifascista che lo porterà alla lotta partigiana clandestina e all’iscrizione al Partito Comunista.
Abbandona per questo la sua grande passione per il cinema, che lo aveva portato ad iscriversi al Centro sperimentale di cinematografia a Roma dopo la laurea in Giurisprudenza ed in Lettere, ma non abbandona però la poesia, che rimarrà nel tempo un suo modo di affrontare, attraverso la bellezza dei versi, le gioie, le sconfitte e l’impegno mai cessato.
I suoi gravi errori, “persino assurdi” come lui stesso li qualificò, furono l’aver sostenuto sull’Unità, di cui era direttore, l’ideologica difesa dell’intervento dell’Armata Rossa contro la rivolta ungherese del ’56 e, 20 anni dopo, l’aver votato per la cacciata dei dissidenti del Manifesto dal Partito Comunista Italiano.
Eppure a me sembra di poter sostenere che fu proprio questa travagliata fedeltà alla storia del suo partito che non abbandonò fino al ‘92, che fecero di lui la personalità che riuscì a spingere alla continua “coltivazione del dubbio” ogni giovane generazione che si affacciava all’impegno politico nella sinistra. Pagò in termini personali, a volte pesanti, la sua ostinata rivendicazione del "diritto al dissenso".
Si autodefinì "uomo dell'altro secolo", ma pochi anni fa apre un suo sito internet dal quale saluta i lettori con una poesia di Brecht e con la frase: "Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito: rinasce ogni giorno sotto nuove forme. Decidi tu quanto lasciarti interrogare dalle rivolte e dalle passioni del mio tempo, quanto vorrai accantonare, quanto portare con te nel futuro".
Per questo non ho dubbi nel definirlo un Padre della nostra storia repubblicana: la sua passione politica mai sopita nonostante tutto è patrimonio esemplare del Paese.
Segnaliamo su Nuova Umanità una recensione al libro di Ingrao "Indignarsi non basta" http://nuovaumanita.cittanuova.it/contenutoNU.php?testoricerca=ingrao&autore=autore&num_riv=&materia=&sezione=&idSito=1&ricerca_button=Cerca&MM_ricerca=ricerca&idContenuto=331791&origine=ricerca&name=2