Indonesia: Jakowi spiazza tutti
Poca o nulla si è saputo in Italia delle elezioni presidenziali svoltesi in Indonesia nella scorsa primavera e del recente giuramento del nuovo governo. Il Paese più popoloso dell’Asean (Association of Southeast Asian Nations) e quello con la più alta presenza al mondo di musulmani (circa l’87% dei 270 milioni di indonesiani che vivono nelle 17 mila isole dell’arcipelago) da vari decenni vive in una costante tensione fra il mantenere un profilo socio-politico multi-culturale e multi-religioso e il trasformarsi in un vero Paese islamico.
È bene ricordare che l’Indonesia, grazie ai suoi padri fondatori in occasione dell’indipendenza, è riuscita a costruire una storia fino ad ora caratterizzata dalla cosiddetta pancasila, i cinque principi fondamentali della repubblica. Si tratta di riconoscere e garantire la fede nell’unico e solo Dio, la giustizia e civiltà umana, l’unità del Paese, una democrazia guidata dalla saggezza interiore dell’unanimità e, infine, la giustizia sociale per tutto il popolo indonesiano. Sebbene il Paese sia tutt’altro che immune dalle profonde tensioni che attraversano il cosmo-Islam a qualsiasi latitudine, finora è riuscito a non cedere alla crescente pressione delle forze salafite che chiedono da tempo la trasformazione del Paese in repubblica islamica.
Le elezioni tenutesi nel marzo scorso sono state particolarmente combattute su questo punto che da tempo è al centro del dibattito pubblico e che aveva caratterizzato anche le elezioni presidenziali precedenti i cui protagonisti – Joko “Jakowi” Widodo e il gen. Prabowo Subianto – si sono ritrovati a competere per il ballottaggio del 2019. Come già accaduto nel 2014, la vittoria è andata a Widodo, candidato delle forze che, in linea di principio, desiderano conservare il pancasila. Recentemente, il neo-rieletto presidente ha presentato la sua squadra di ministri che compongono il suo gabinetto alla guida del Paese fino al 2024. Con un colpo a sorpresa, Jakowi ha assegnato uno dei ministeri più delicati, quello della Difesa, al suo avversario, Prabowo Subianto, che entra così non solo nel governo ma anche con un ruolo di primissimo piano. Da sempre, infatti, i militari hanno un ruolo importante nel Paese asiatico.
La decisione del presidente ha suscitato non poca sorpresa perché i due si sono trovati di fronte in due elezioni consecutive, in cui le campagne elettorali sono state lunghe, estenuanti e combattute aspramente. Una volta pubblicati i risultati, poi, il gen. Prabowo aveva contestato il verdetto, accusando Jakowi di «brogli massicci e sistematici». Queste accuse avevano provocato violente manifestazioni di piazza, nel corso delle quali erano morte almeno nove persone. A fine giugno, era arrivata la sentenza della Mahkamah Konstitusi (la Corte costituzionale) che respingeva come «privo di fondamento giuridico» il ricorso dello sconfitto. Agli inizi del mese, poi, è stato scoperto un piano per assassinare i vertici della Sicurezza nazionale e la polizia aveva arrestato uno dei più stretti alleati politici di Prabowo, il gen. Kivlan Zen.
Non pochi sono coloro che nel Paese sono rimasti interdetti dalla scelta del presidente, ben sapendo anche che la posta in gioco è l’islamizzazione o meno della nazione asiatica, scongiurata – almeno per ora – dall’esito delle elezioni. Tuttavia, nel dibattito pubblico seguito alla decisione del presidente, J. Kristiadi analista politico senior presso il Centre for Strategic of International Studies (Csis) di Jakarta, invita gli indonesiani a «guardare il quadro generale» anziché soffermarsi sulle singole nomine. «La scelta fatta da Widodo, ovvero portare nella squadra di governo alcune figure impreviste – ha dichiarato in una intervista all’agenzia cattolica AsiaNews –, è corretta. Essa riduce potenziali turbolenze politiche. In questo senso, la nomina di Prabowo è ragionevole. In quanto generale (in pensione) dell’esercito, egli è una personalità di profilo nazionale e laica. Designando lui alla Difesa, Widodo ha messo in atto una strategia per schiacciare i nemici dell’unità nazionale».
A favore della decisione del Presidente appare essere anche la Chiesa cattolica. A conferma di questo, padre Paulus Christian Siswantoko, segretario esecutivo della Commissione per i laici della Conferenza episcopale locale (Kwi), afferma: «Il presidente sa cosa vuole e come raggiungere i suoi obiettivi. Formando il gabinetto, ha saputo mantenere un equilibrio tra le sue preferenze e la principale aspettativa dell’intero popolo indonesiano: un clima sociale pacifico». Arya Hadi Dharmawan, docente presso la Bogor Agricultural University (Ipb) sottolinea: «Chiedendo a Prabowo di unirsi al governo, il presidente ha ridotto con intelligenza la tensione in una società già frammentata». Bambang Ismawan, fondatore nel 1955 di Bina Swadaya – una delle Ong più famose in Indonesia – dichiara: «A mio avviso, il nuovo governo dovrà concentrarsi sullo sviluppo dei villaggi e delle aree rurali. I piccoli centri hanno perso il gotong royong, termine locale che indica lo spirito di collaborazione. I villaggi – conclude l’85enne attivista – rappresentano le fondamenta dell’unità nazionale. Se questi vanno in rovina, il Paese li seguirà».
Senza dubbio, Jakowi appare coraggioso e determinato nelle sue scelte e il suo nuovo gabinetto si troverà ad affrontare le non poche sfide di questo Paese con diverse anime al suo interno che dovranno interagire trovando un accordo comune piuttosto che operare con scontri frontali a livello parlamentare. La formula adottata è, comunque, innovativa e questi prossimi anni diranno la direzione che l’Indonesia prenderà non solo al suo interno o nella scacchiera asiatica, ma anche nella complessa situazione mondiale che l’Islam attraversa e che non può essere ignorata.