Individualismo e decadimento morale
C’è un decadimento morale della nazione? Posta così la domanda è piuttosto generica. Indubbiamente un certo disagio esiste, è vissuto in maniera più problematica dai giovani, ma riguarda il tessuto sociale nel suo contesto, i legami, le relazioni, il senso dell’altro e quello che ne consegue in termini di prossimità e attenzione.
«L’invenzione dell’individuo – così possiamo sintetizzare la conquista della modernità – ha rappresentato senza alcun dubbio una rivoluzione culturale decisiva per il progresso dell’intera umanità negli ultimi secoli – scrive mons. Vincenzo Paglia nel libro Il crollo del noi –. Si tratta di un patrimonio indiscusso, da custodire e da difendere».
Tuttavia, qualcosa si è perso. «Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo è la scomparsa della seconda relazione fondamentale dell’uomo», osserva Luigi Zoja, psicanalista e sociologo nel volume La morte del prossimo. «L’uomo è un orfano senza precedenti nella storia. Lo è in senso verticale – è morto il suo Genitore Celeste – ma anche in senso orizzontale: è morto chi gli stava vicino».
In questo contesto diventa difficile nutrire virtù, specie se eroiche, attuare principi di attenzione che abbiano in sé le ragioni dell’altro.
«Le nostre società – osserva Carlo Ossola nel prezioso volumetto Trattato delle piccole virtù. Breviario di civiltà – hanno sviluppato una grande attenzione ai ‘beni comuni’: il clima, tutto ciò che non consuma troppo la nostra madre terra; ma è assai difficile tutelare questi ‘beni comuni’ senza l’esercizio di quelle ‘virtù comuni’ che a essi conducono, riducendo le pretese della singolarità per incrementare un viver corale dove l’armonia dell’insieme più conti che il prestigio dell’assolo, più la semplice virtù quotidiana che il ricercato virtuosismo della performance».
E Ossola aggiunge: «Competizione, emulazione, valutazione comparativa sono termini che portano il risultato (se ci sarà) fuori di noi, ci privano della prima tornitura, quella del sé, ci lasciano materia grezza che ferisce al tatto e si ferisce, allenano alla vanità dell’orgoglio».
Senza la visione dell’altro si perde la misura di se stessi. «Non giunge – precisa l’enciclica Fratelli tutti – a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri: non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro».
Benché necessario per corroborare di speranza il mondo, uscire dal circolo vizioso dell’individualismo, tuttavia, non è poi così facile se pochissime persone hanno una ricchezza pari a quella di tutti gli altri abitanti del pianeta messa insieme. Occorre rimettere mano al valore fondamentale della solidarietà.
«Desidero – aggiunge papa Francesco nella Fratelli tutti – mettere in risalto la solidarietà che come virtù morale e atteggiamento sociale, frutto della conversione personale, esige un impegno da parte di una molteplicità di soggetti, che hanno responsabilità di carattere educativo e formativo. Il mio primo pensiero va alle famiglie, chiamate a una missione educativa primaria e imprescindibile. Esse costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro».
La solidarietà è la virtù che più di altre è capace di superare le ragioni del disagio esistenziale e delle diseguaglianze, corroborando sentimenti di gratitudine. «Essa – ricorda Natale Benazzi nel volume Allenare la gratitudine – riempie di senso la persona verso la quale proviamo questo sentimento, trasforma noi e lei, rende indissolubile il nostro rapporto».
La ragione per la quale la solidarietà consente di andare oltre queste ostilità, sostiene il giurista Stefano Rodotà, è «nel suo essere un principio volto a scardinare barriere, a congiungere, a esigere quasi il riconoscimento reciproco, e così a permettere la costruzione di legami sociali nella dimensione dell’universalismo. Di legami, si può aggiungere, fraterni, poiché la solidarietà si congiunge con la fraternità, in un gioco di rinvii linguistici che spinge verso radici comuni».
In quelle comuni radici c’è un principio di uguaglianza che va recuperato e salvaguardato non in astratto, dice l’enciclica Fratelli tutti, ma come «risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità». L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli, semplicemente ci inganna alimentando ambizioni che esasperano il conflitto e la frustrazione.
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