Indipendenza sì, ma dipende…
Più di mille giornalisti, un terzo dei quali proveniente dall’estero, poco dopo le 19 di ieri, martedì 10 ottobre, erano accalcati dentro e attorno al Parlamento catalano in attesa delle parole del presidente catalano, Carles Puigdemont, un’annunciata dichiarazione d’indipendenza della Catalogna, si supponeva. Ma c’erano pure una schiera di poliziotti e una folla di sostenitori incondizionati della separazione da Madrid. S’era accumulata un’ora di ritardo sul previsto, a causa del dissenso creatosi all’interno di un partitino che sostiene il governo catalano, il Cup, gruppo parlamentare non grande ma con forte influenza in materia d’indipendentismo.
Tutta la Spagna, e non solo, s’è ritrovata di fronte agli schermi televisivi. Anche Euronews ha trasmesso in diretta il discorso. Si immaginava il premier Mariano Rajoy e la sua vice battagliera Soraya Sáenz de Santamaría in attesa del vaticinio, ma anche tanti imprenditori senza più bussola politica, così come semplici cittadini e i vertici delle istituzioni di Bruxelles e Strasburgo… Un po’ tutti gli europei, insomma.
Il discorso è durato mezz’ora, nel corso del quale Carles Puigdemont ha ritracciato le vicende catalane a partire da quel 6 settembre che aveva segnato l’inizio dell’escalation di tensione con Madrid, con l’approvazione della cosiddetta “legge di disconnessione”. Il presidente ha addossato alla Spagna la responsabilità dell’accaduto, per via «dell’umiliazione subita» da parte di Rajoy e dall’apparato statale che, per mano della Corte costituzionale, aveva rifiutato in una sua parte sostanziale la riforma dello Statuto catalano.
La retorica di Puigdemont è più convincente quando dipinge a tinte fosche lo Stato spagnolo che per tanti anni non ha saputo accogliere, capire e concedere l’autodeterminazione al popolo catalano, costringendo moralmente tanti catalani a lasciare la Spagna per tornare a Barcellona e dintorni.
Ma si sente che il presidente girava attorno al pomo della discordia: avrebbe pronunciato o no una dichiarazione d’indipendenza? Sì, Puigdemont rassicurava gli spagnoli (in spagnolo): «Non siamo delinquenti né pazzi». E subito dopo dichiarava solennemente che «un popolo non può essere costretto» e che, basandosi sui risultati del referendum del primo ottobre, assumeva (in catalano) «il mandato ricevuto del popolo affinché la Catalogna si trasformi in uno Stato indipendente». Lo smarrimento si è diffuso fuori del Parlament, dichiarava o non dichiarava? Non dichiarava, perché, vista la situazione d’instabilità politica, economica e giuridica, Puigdemont ha proposto di «sospendere» per il momento la dichiarazione d’indipendenza per dar avvio a un processo di dialogo con Madrid.
Delusione cocente nelle file indipendentiste, sollievo a Madrid e nelle cancellerie europee, e anche nei cuori di chi era sfilato domenica per la non-indipendenza della Catalogna. Sono cominciati i commenti, gli opinionisti si sono scatenati, gli umoristi hanno avuto pane per i loro denti: Puigdemont è stato accusato da taluni di essere ambiguo, da altri di essere incongruente. Il socialista Miquel Iceta, intervenendo nel dibattito, ha sostenuto che il presidente ha sospeso qualcosa che non era stato in precedenza mai approvato. Quindi non ha fatto nulla. Non a caso i 72 parlamentari del blocco indipendentista hanno firmato subito dopo una proposta di legge al riguardo, che però non è poi stata depositata alla Camera.
L’impressione è che la situazione sia in stato di stallo: Puigdemont s’è reso conto che una dichiarazione d’indipendenza avrebbe spaccato non solo la Spagna ma la stessa Catalogna. E probabilmente ha capito che per fare una dichiarazione del genere avrebbe dovuto guadagnarsi l’appoggio di una chiara maggioranza di cittadini catalani, cosa tutt’altro che sicura attualmente. Comunque la mano catalana ora è tesa verso Madrid, che però nelle parole del vicepremier, Soraya Sáenz de Santamaría, non sembra aver capito che è tempo di cambiare registro, quando ha detto che «il presidente Puigdemont non sa dove è, verso dove va, né con chi vuole andare».
Con queste premesse che tavolo di dialogo verrà aperto? Come si svolgerà? Chi vi parteciperà? E come reagiranno gli indipendentisti catalani, soprattutto i giovani della Cup che si sono visti traditi dal “loro” presidente? Nelle prossime settimane sapremo che direzione prenderanno le vicende catalane. Molto dipenderà dal clima che Barcellona (Puigdemont sarà tentato di convincere i riottosi catalani per l’indipendenza pur trattando con il governo centrale?) e Madrid (Rajoy sarà a suo turno tentato di far pagare ai catalani la rivolta di questi mesi, riducendo la loro autonomia?) riusciranno a creare: collaborazione reale o guerriglia strisciante?