Indimenticabile Marcialonga
70 chilometri con gli sci di fondo, fra Fiemme e Fassa. Diario di uno dei partecipanti
Della Marcialonga esistono almeno tre versioni: quella dei campioni, quella dei “senatori” e quella dei “bisonti”. La granfondo trentina della valli di Fiemme e Fassa racchiude tante storie e sfide. Era il 1971 quando un gruppo di trentini, pionieri delle gran fondo, di ritorno dalla mitica Vasaloppet, in Svezia, lunga 90 chilometri, individuò nel fondovalle di Fiemme e Fassa, con partenza da Moena, giro di boa a Canazei, altro giro di boa a Molina ed arrivo a Cavalese, il percorso ideale per una competizione che avrebbe attratto gli appassionati di sci nordico del mondo intero. I 6700 granfondisti, da 32 nazioni, al via quest’anno, i cosiddetti “bisonti”, confermano il fascino esercitato dalla Marcialonga: 2630 i norvegesi, 1091 gli svedesi, 2158 gli italiani.
Molti, come me, l’affrontano per la prima volta: quando indosso il pettorale numero 6661, uno degli ultimi a partire, provo la stessa emozione di chi, data la partenza scaglionata, ha preso il via un’ora e mezza prima di me. Le salite più impegnative sono nei primi 15 chilometri e fanno selezione, ma ci si aiuta e ci si incita nelle lingue più disparate. È grande il rispetto reciproco tra tutti, come è grande, straordinaria la passione della gente della valle: non solo da parte dei 1200 volontari che hanno preparato e battuto la pista (200.000 i metri cubi di neve artificiale disposti sul percorso) e che ti accolgono ai 13 posti di ristoro, di sciolinatura e di soccorso lungo il percorso, ma da parte di tutti. Bandiere d’ogni nazione ai balconi, anziani alla porta di casa che ti incitano con calore commovente, bambini festanti con bicchieri di tè caldo in mano, uomini e donne disseminati lungo la pista con raganelle e campanacci a incoraggiare partecipanti che non conoscono nemmeno.
Quando giro a Canazei, dopo 18 chilometri, i campioni hanno già tagliato il traguardo a Cavalese ed i “vichinghi” hanno colpito ancora, Jörgen Aukland, norvegese, fra gli uomini e Susanne Nyström, svedese, fra le donne.
Speciale è la Marcialonga dei “senatori”, ormai rimasti solo in 16, gli irriducibili appassionati che hanno partecipato a tutte le 39 edizioni. Il più longevo fra loro è Antonio Gianola, del ’29: quando taglia il traguardo è accolto dal pubblico con un boato pari a quello riservato al vincitore.
Molti sono stati fermati dai giudici, a malincuore, ai cancelli di Canazei, Predazzo e Molina: sarebbero arrivati a notte fonda. A chi, come me, è passato in tempo, tocca la ripidissima ed interminabile salita finale di 2,5 chilometri che separa dal traguardo: la saliamo alla luce delle fiaccole, perché sono già calate le tenebre. L’ultimo chilometro si snoda nei vicoli del centro storico di Cavalese: ed ecco il traguardo. Dopo 8 ore e 40 di fatica non riesco a trattenere l’emozione e scoppio a piangere per la felicità. Saranno i riflettori, sarà l’entusiasmo della folla che è lì da ore, sarà lo speaker che pronuncia il tuo nome, sarà la medaglia che ti mettono a collo, saranno moglie e figli che ti aspettano, ma per tutti la soddisfazione e la gioia sono incontenibili. Come in ogni conquista della vita.
Molti, come me, l’affrontano per la prima volta: quando indosso il pettorale numero 6661, uno degli ultimi a partire, provo la stessa emozione di chi, data la partenza scaglionata, ha preso il via un’ora e mezza prima di me. Le salite più impegnative sono nei primi 15 chilometri e fanno selezione, ma ci si aiuta e ci si incita nelle lingue più disparate. È grande il rispetto reciproco tra tutti, come è grande, straordinaria la passione della gente della valle: non solo da parte dei 1200 volontari che hanno preparato e battuto la pista (200.000 i metri cubi di neve artificiale disposti sul percorso) e che ti accolgono ai 13 posti di ristoro, di sciolinatura e di soccorso lungo il percorso, ma da parte di tutti. Bandiere d’ogni nazione ai balconi, anziani alla porta di casa che ti incitano con calore commovente, bambini festanti con bicchieri di tè caldo in mano, uomini e donne disseminati lungo la pista con raganelle e campanacci a incoraggiare partecipanti che non conoscono nemmeno.
Quando giro a Canazei, dopo 18 chilometri, i campioni hanno già tagliato il traguardo a Cavalese ed i “vichinghi” hanno colpito ancora, Jörgen Aukland, norvegese, fra gli uomini e Susanne Nyström, svedese, fra le donne.
Speciale è la Marcialonga dei “senatori”, ormai rimasti solo in 16, gli irriducibili appassionati che hanno partecipato a tutte le 39 edizioni. Il più longevo fra loro è Antonio Gianola, del ’29: quando taglia il traguardo è accolto dal pubblico con un boato pari a quello riservato al vincitore.
Molti sono stati fermati dai giudici, a malincuore, ai cancelli di Canazei, Predazzo e Molina: sarebbero arrivati a notte fonda. A chi, come me, è passato in tempo, tocca la ripidissima ed interminabile salita finale di 2,5 chilometri che separa dal traguardo: la saliamo alla luce delle fiaccole, perché sono già calate le tenebre. L’ultimo chilometro si snoda nei vicoli del centro storico di Cavalese: ed ecco il traguardo. Dopo 8 ore e 40 di fatica non riesco a trattenere l’emozione e scoppio a piangere per la felicità. Saranno i riflettori, sarà l’entusiasmo della folla che è lì da ore, sarà lo speaker che pronuncia il tuo nome, sarà la medaglia che ti mettono a collo, saranno moglie e figli che ti aspettano, ma per tutti la soddisfazione e la gioia sono incontenibili. Come in ogni conquista della vita.