India, tre aspetti preoccupanti di Modi 2
Il governo Modi 2 è appena partito e già non mancano polemiche e diatribe nel panorama politico indiano terribilmente monocolore a causa del permanere della crisi che vive l’attuale opposizione. Le dimissioni di Rahul Gandhi, infatti, non hanno per ora sortito alcun risultato all’interno del partito del Congresso, che sembra assopito in uno stato di coma piuttosto che di letargo.
Questo offre il fianco ad una situazione pericolosa, come dimostrano le defezioni dal tradizionale partito storico dell’India indipendente verso il Bharatya Janata Party (Bjp) di Modi. In due Stati – Karnataka e Goa – il passaggio di alcuni membri dei parlamenti statali da un partito all’altro stanno determinando cambiamenti significativi nel panorama politico, consegnando al Bjp degli Stati che erano appannaggio del Congresso – il Karnataka appunto – o che stavano ricostruendo un’identità per la scomparsa del leader locale del Bjp – è il caso di Goa dove recentemente è morto l’on. Parrikar che da anni rappresentava la guida indiscussa, ed anche apprezzata e rispettata dall’opposizione, del gruppo locale del partito di Modi.
In questa fluidità, piuttosto preoccupante a causa della mancanza di una vera alternativa nel dibattito politico che, a livello centrale, rischia di diventare un monologo Bjp, si moltiplicano segni preoccupanti per il futuro immediato e a lungo termine del Paese asiatico. Da un lato, infatti, nonostante i costanti e non di rado martellanti proclami sulla salute e, addirittura, sulla crescita dell’economia si percepisce un notevole disagio, soprattutto, fra imprenditori di piccola e media portata.
Si lamenta la mancanza di liquidità sul mercato e, in generale, si respira un certo pessimismo che cozza contro il preteso ottimismo di Modi e del suo governo. La percezione è diffusa e, sebbene non traspaia nel dibattito pubblico e sui media, è nota a tutti, soprattutto nell’ambito degli addetti ai lavori, ma anche fra l’opinione pubblica delle grandi metropoli, come Mumbai e Bangalore, che negli ultimi decenni hanno funzionato come elementi trainanti dell’economia in particolare della finanza e del It.
Un ulteriore elemento che suscita non poca apprensione è quello della cultura della discriminazione che, spesso in maniera sottile e discreta, ma anche con atti plateali, sempre più si infiltra tra le pieghe di una società altrimenti accogliente e tollerante.
Come ha fatto notare in Italia un interessante ed attento intervento di Stefano Vecchia, pubblicato in questi giorni su Avvenire, il 31 luglio scade il termine per l’aggiornamento del cosiddetto Registro nazionale dei cittadini (Nrc). La procedura amministrativa, che pare essere una normale pratica di routine di aggiornamento, rappresenta in alcune zone dell’immenso Paese un’arma a doppio taglio sia di carattere politico che religioso.
Nella zona dell’Assam, ad esempio, a nordest dell’India, come pure nel Bengala occidentale, è continuata per anni una emigrazione silenziosa – ma nota a tutti – di bengalesi provenienti dal vicino Bangladesh. Milioni di persone, praticamente tutte musulmane, hanno rappresentato una preziosa fonte di voti per i politici, in particolare proprio per il Partito del Congresso.
Pur sapendo della loro presenza illegale, si è sempre cercato di assicurare loro la permanenza in India fornendo i documenti che permettessero loro di vivere in questo Paese e, soprattutto, di votare chi li aveva aiutati.
Alla luce delle ultime disposizioni rafforzate anche dalla Corte suprema, potranno essere registrati come cittadini indiani solo coloro che saranno in grado di dimostrare di essere in India da prima del 24 marzo 1971, giorno di proclamazione dell’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan. La zona interessata, poi, è teatro di una grande crisi economica ed agricola – dovuta anche a costanti alluvioni che distruggono i raccolti – che offre ai politici la possibilità di indicare in questi migranti la causa del problema per la popolazione locale.
La questione, comunque, è molto complessa perché a questa dimensione economica che appare chiaramente nella retorica dei politici locali, soprattutto del Bjp, si aggiunge la questione, ben più delicata, dell’appartenenza religiosa con conseguenze anche politiche.
Come detto, tutti i nuovi abitanti provenienti da oltre confine sono musulmani e, come tali, tendono a votare per i partiti attualmente all’opposizione, essendo il Bjp di chiara tendenza indù fondamentalista.
È quindi un grosso vespaio di carattere socio-politico-religioso. Se la normativa verrà attuata secondo le regole vigenti, il panorama della regione dell’Assam e di alcuni punti del Bengala occidentale cambierà totalmente sia da un punto di vista sociale che religioso e questo avrà notevoli conseguenze anche a livello elettorale e politico.
La questione è venuta in evidenza proprio in queste settimane per via dell’intervento in parlamento dell’on. Amit Shah, ministro dell’Interno oltre che presidente del Bharatiya Janata Party (Bjp). «Identificheremo – ha affermato Shah – tutti gli immigrati illegali e gli infiltrati che vivono su ogni centimetro di questo Paese e li deporteremo in base alle leggi internazionali».
Resta da vedere se il piano potrà essere attuato in questi termini. Se, da un lato, infatti, la stragrande maggioranza degli immigrati non ha la possibilità di dimostrare la data di inizio di permanenza in India a causa dei processi piuttosto approssimativi di registrazione sia in Bangladesh che in India, dall’altra lo stesso governo potrebbe trovare difficoltà a rintracciare tutti coloro che non sono in regola con le disposizioni che ora si vogliono far osservare in modo rigido.
Quello che è chiaro è che è in corso un processo pericoloso che non può essere efficacemente neutralizzato o, almeno, equilibrato, a causa dell’assenza di una vera opposizione.