India: tra venti di guerra e appelli per la pace
Giornata di preghiera per la pace fra l’India e i Paesi confinanti. Questa l’idea proposta dal cardinale Baselios Mar Cleemis dell’arcidiocesi siro-malankarese di Trivandrum e presidente della Conferenza episcopale indiana (CBCI) a tutte le diocesi del paese asiatico. La giornata di ieri, domenica 16 ottobre, è stata dedicata a questa preghiera particolare, molto significativa e coraggiosa per diversi motivi.
Il mese di ottobre, infatti, rappresenta un periodo ricco di celebrazioni religiose. Inizia, infatti, con il giorno 2, quando si celebra il compleanno del Mahatma Gandhi, e continua con le grandi feste indù di Dassera, particolarmente sentita nel Nord Est dell’India, a Kolkata e nello stato del Bengala, e, soprattutto, con quella di Diwali che si celebrerà il 30 ottobre e, come festa della luce, rappresenta il vero e proprio capodanno indù.
Ma anche i musulmani hanno celebrato l’importante festa di Mohurrun l’11 ottobre, mentre i sikhs, proprio in questo mese ricordano la nascita di due dei loro guru fondatori.
Accanto a questa serie di festività, tutte molto sentite a livello popolare e religioso, il Paese vive ancora una volta un momento di grande tensione con il Pakistan. È l’ennesima occasione di accuse e scontri o scaramucce, spesso anche gravi, che portano i due Paesi sull’orlo di una guerra che potrebbe avere conseguenze letali, avendo entrambe le nazioni asiatiche degli arsenali nucleari.
A partire dall’indipendenza e dalla nascita dei due Paesi, allora sancita sulla carta geografica – India e Pakistan, dal quale agli inizi del anni settanta si staccò il Bangladesh –, ci sono stati più volte brevi conflitti, seguiti negli ultimi tre decenni da regolari scontri sul confine ad un’altitudine dove i militari rischiano la vita per le temperature proibitive e per l’aria rarefatta. Negli ultimi mesi nello stato del Kashmir indiano si sono susseguiti scontri fra l’esercito e la popolazione locale e questo ha nuovamente creato tensione con il Pakistan dove la stragrande maggioranza della popolazione è di religione musulmana come, del resto, accade nello stato del Kashmir indiano.
Per questo l’episcopato indiano ha proposto una giornata di preghiera per la pace finalizzandola al contesto del sub-continente e, in pratica, ai rapporti fra i due giganti, anche se non mancano altre situazioni critiche, sia in Myanmar che in Bangladesh.In questo contesto il cardinale di rito orientale (siro-malankarese) ha inviato una lettera a tutti i vescovi dell’India (il Paese conta più di 180 diocesi) invitandoli, insieme ai sacerdoti, ai religiosi e ai laici cattolici ad unirsi in preghiera per ottenere “per il nostro amato Paese, giustizia, pace, prosperità, benessere, armonia e unità”.
Il riferimento alle “sfide straordinarie, in particolare ai suoi confini” fa riferimento alle tensioni recenti fra India e Pakistan e alla novantina di vittime degli ultimi mesi di scontri fra l’esercito indiano e militanti musulmani locali. A nome di tutta la Conferenza episcopale, il cardinale ha scritto invitando tutti a far sì che ogni luogo di culto, domenica 15 ottobre, potesse risuonare di preghiere per la nostra amata nazione”. A tal fine, il card. Cleemis ha chiesto di organizzare liturgie e momenti di raccoglimento in tutte le diocesi, ricordando che, accanto alle feste di altre tradizioni, i cristiani celebrano il 4 ottobre san Francesco di Assisi, “messaggero di pace e armonia”.
Al messaggio del presidente della conferenza episcopale locale, ha fatto eco nei giorni scorsi l’arcivescovo emerito di Gawhati, Mons Thomas Menamparampil, noto per la sua instancabile opera di mediazione fra le tribù del Nord Est India e fra indù e cristiani nello stato dell’Odisha, teatro anni fa di scontri dove morirono molti cristiani protestanti.
Mons, Menamparampil afferma nel suo messaggio che “purtroppo l’Anno della misericordia è stato disturbato da troppi casi di violenza in diverse parti del mondo: Parigi, Tolosa, Normandia e pure ai confini dell’India”. “Qualunque sia la causa di questi terribili e dolorosi incidenti – continua il vescovo indiano – possiamo vedere in modo chiaro che non abbiamo ancora raggiunto la fine della Strada della Violenza. Proviamo una sensazione di impotenza davanti a questo immenso problema”.
“La storia delle grandi guerre – sottolinea il vescovo – ci insegna che nessuno esce davvero vincitore da un grave conflitto. Al contrario, la perdita è universale. E quelli che soffrono di più sono i più poveri”. Mons. Menamparampil non fa sconti soprattutto ai “leader che usano un linguaggio aggressivo e provocano tensioni per un tornaconto politico, sono fonte di disastri per milioni di persone… per il proprio popolo e per gli altri. I soli a trarne beneficio sono i produttori di armi. La macchia della guerra è cieca, e una volta messa in modo, è dura da controllare. L’ira, una volta innescata, non è facile stemperarla. Fomentare tensioni collettive può essere fatale”.
Interessante anche il riferimento all’accademica Martha Nussbaum che, nel suo recente libro Emozioni politiche (Harvard 2013), spiega che “l’amore è essenziale per la giustizia”. La sua tesi è che i pensatori politici abbiano elaborato sinora solo “principi politici”, lasciando la gestione delle “emozioni politiche” e l’ira collettiva alla cura dei leader religiosi e di personalità poetiche.
I vescovi indiani intendono lanciare con questa iniziativa di preghiera un chiaro messaggio alla nazione che sottolinei quanto la pace stia a cuore ai cattolici del paese, una esigua minoranza, apprezzata, tuttavia, per la presenza in ambito sociale ed educativo.