India nord e sud: un panorama complesso

In India, alcune decisioni del governo Modi hanno riacceso polemiche e tensioni fra gli Stati del sud di lingua tamil e quelli del nord che parlano hindi. La questione ha radici molto profonde e antiche
DOnne di etnia Tamil hindu in Sri Lanka durante il Festival Maha Shivratri al tempio indù a Colombo, Sri Lanka, 26 febbraio 2025. Ansa EPA/CHAMILA KARUNARATHNE

I due ceppi etnici e linguistici – ariano e dravidico – hanno creato da sempre non poche tensioni fra le regioni del sub-continente indiano. La popolazione del nord, di etnia ariana, parla diverse lingue, ma tutte derivate dal sanscrito. Quella del sud, al contrario, di etnia dravidica, parla il tamil o lingue da esso derivate. I due ceppi linguistici paiono non avere niente in comune e, infatti, le lingue che derivano da essi sono totalmente diverse, anche se con influenze reciproche. Fanno eccezione il tamil parlato in Tamil Nadu, e l’hindi parlato in alcuni Stati del nord come l’Uttar Pradesh.

Ma anche sulle origini dei due gruppi etnici esistono diverse teorie che sostengono una o l’altra delle radici dei due gruppi. Alcuni ritengono che i dravidici fossero la popolazione originaria delle culture lungo il fiume Indo, oggi in Pakistan, e che gli ariani fossero arrivati da fuori. Altri dissentono e sostengono il contrario. La questione è assai delicata e, anche, di difficile soluzione. Di tanto in tanto, nel corso della storia, e soprattutto nel secolo passato, sono scoppiate forti tensioni riguardo a questa problematica linguistica, che sembra nascondere molto di più che una questione di idiomi. Spesso sono avvenute manifestazioni di massa talora con scontri violenti che hanno fatto anche vittime. In ogni modo, il Tamil Nadu non ha mai voluto cedere all’uso dell’hindi e, anche politicamente, resta un’isola in cui i fondamentalisti indù fino ad oggi non sono riusciti a fare breccia. Per avere un’idea di quanto la cosa sia sentita, ricordo un sacerdote di quella parte dell’India che mi raccontava come negli anni ’60 durante la controversia hindi-tamil, al tempo in cui lui frequentava le scuole elementari, la maestra pungesse un dito ai bambini e chiedesse loro di firmare in tamil con il sangue che ne usciva. In effetti, quelli erano gli anni in cui l’hindi, divenuto lingua nazionale, aveva finito per destabilizzare l’identità del sud India che aveva reagito escludendone l’insegnamento anche nelle scuole elementari. Questo ha creato una frattura fra lo Stato del Tamil Nadu e gli Stati del nord. Generazioni di tamilians, infatti, non sanno relazionarsi con i loro connazionali del nord perché non ne parlano la lingua, e viceversa. Chi studia può esprimersi in inglese, ma per gli altri sussiste il problema della comunicazione all’interno dello stesso Paese.

Nel 2020 il governo centrale, guidato da Narendra Modi e fortemente ispirato dal nazionalismo indù, particolarmente accentuato negli Stati del nord e di lingua hindi, ha varato un nuovo National Educational Policy (Politica Nazionale per l’Istruzione) e, fra i punti controversi, ha inserito la cosiddetta trilingual option. Oltre all’insegnamento obbligatorio dell’hindi, i singoli Stati possono aggiungere una o due altre lingue (inglese per esempio) e/o quella locale. Il sud del Paese, in particolare lo Stato del Tamil Nadu, ha percepito la mossa come una nuova imposizione simile a quella degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso e ha, quindi, reagito con forza.

Ma le tensioni non si fermano all’ambito dell’istruzione, sia pubblica che privata. Si allargano, infatti, anche alla distribuzione dei fondi da parte del governo centrale ai diversi Stati in base alle proporzioni di rappresentatività in Parlamento. Successiva ai vari censimenti che si realizzano nel Paese nel primo anno di ogni nuovo decennio, il governo, attraverso una commissione ad hoc, ridisegna, in base alle variazioni della popolazione, le proporzioni di rappresentanza dei diversi Stati nel Lok Sabha. Inoltra, provvede a delimitare in modi diversi anche le singole circoscrizioni elettorali. La zona al sud dell’immenso Paese tende, da alcuni decenni, a controllare la crescita demografica più di quanto faccia la zona al nord, che continua a crescere numericamente molto di più. Questo significa la possibilità che si provveda a ricalcolare i seggi a cui ogni Stato avrà diritto nelle prossime elezioni. E, in questo caso, secondo i parametri attualmente in vigore c’è il pericolo concreto che gli Stati del nord avranno una maggiore rappresentanza parlamentare. Le conseguenze politiche sono gravi. Il Tamil Nadu, infatti, come già accennato, è la parte dell’India che fino ad oggi ha escluso il partito di Modi (Bjp) dalla politica locale, nonostante i ripetuti tentativi fatti da quest’ultimo nello scorso decennio. Invece, gli Stati del nord sono pieno appannaggio del Bjp e dell’ideologia dell’hindutva che lo contrassegna.

E non manca la questione economica. Queste tensioni – sia linguistica che elettorale e parlamentare – si inseriscono in un più ampio dibattito sulla distribuzione dei fondi federali agli Stati indiani, che si basano, anch’essi, sulla distribuzione della popolazione: le aree con più abitanti (quelle del nord, che parlano hindi e in generale sostengono maggiormente il Bjp) ricevono più fondi. Tuttavia, il Tamil Nadu, insieme agli altri Stati del sud, contribuisce di più al Pil nazionale, eppure riceve meno fondi rispetto agli Stati economicamente meno sviluppati del nord. Questo squilibrio ha portato a un aumento del debito pubblico statale, che nel Tamil Nadu è passato dal 22% del Pil nel 2013-2014 al 32% nel 2023-2024.

Dunque, nodi complessi da sciogliere in un Paese che nelle ultime elezioni ha evitato di consegnare la maggioranza assoluta a Modi, ma che rischia di cadere nuovamente nella trappola delle divisioni linguistiche, oltre che politiche ed economiche.

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