India, Modi rischia di minare la democrazia
Quello che in queste settimane sta accadendo in India non può non suscitare preoccupazione. Il Paese, infatti, dalla sua indipendenza, sia pure con periodi di crisi politiche ed economiche nonché sociali, è sempre rimasto fedele ai principi democratici e ha sempre dimostrato di sapere gestire la sua vita sociale e politica alla luce degli ideali di questo sistema. Quello che si sta svolgendo a partire dalle ultime elezioni dell’aprile-maggio 2019, stravinte dal Bharatya Janata Party (Bjp), suscita invece non poche preoccupazioni.
Forte di una maggioranza assoluta e con un margine notevole di sicurezza, il cosiddetto Modi 2.0, così viene spesso etichettato il secondo governo del politico del Gujarat, in rapida successione e nel giro complessivo di sei mesi ha varato una serie di misure e ha favorito svolte socio-politiche che non possono non preoccupare osservatori e avversari dell’attuale gabinetto.
In agosto, infatti, New Delhi ha revocato al Kashmir il titolo di Stato e, legandolo come Territorio dell’Unione al governo centrale, ha di fatto compiuto una azione di forza ulteriormente aggravata dalla riduzione del territorio da uno Stato a tre sotto-Stati: Jammu, Kashmir e Ladakh. Da allora quell’angolo di Paese è isolato, essendo stata tagliata la possibilità di collegarsi in rete al resto dell’India e del mondo.
A poche settimane di distanza, poi, la Corte Suprema ha emesso un verdetto finale sul contenzioso che riguardava da decenni Ayodhya, dove gli indù affermano sia nato il Dio Rama e dove, distrutta la famosa moschea Babri Masjid nei primi anni Novanta del secolo scorso, hanno ora ottenuto il diritto di gestire il territorio e di costruirvi un tempio.
Altro successo di Modi – questa volta una questione personale ma assai importante – è stata l’assoluzione definitiva dall’accusa di essere stato coinvolto nella terribile carneficina (morirono un migliaio di musulmani) che accadde nel 2002 nello Stato del Gujarat dove egli era allora primo ministro locale.
Si capisce, quindi, perché l’opposizione, sia pure debole e confusa, si sia coalizzata di fronte alla nuova legge denominata Cab-Citizen Amendment Bill, che vuole garantire la cittadinanza indiana a profughi provenienti da Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e Nepal, a condizione che non siano musulmani.
Quanto appena elencato deve, poi, essere pensato assieme ai cortei oceanici e agli scontri di gruppi, in particolare nel Bengala, in Assam e nella capitale, dove nei giorni scorsi gruppi di giovani fondamentalisti indù affiliati al Bjp e al gruppo degli Rss (i fondamentalisti che di fatto controllano il potere), hanno assalito la prestigiosa Jnu (Jawaharlal Nehru University) suscitando tafferugli e lasciando molti studenti feriti sul campo.
Quello che preoccupa è che episodi di questo tipo sono sempre più frequenti e sembrano giustificare che il Modi 2.0 sia in effetti completamente alla mercé del nuovo ministro degli Interni, Amit Shah, noto per essere un convinto membro della Rss e di gestire il ministero degli Interni, di cui è diventato il titolare nell’attuale gabinetto, secondo i principi non negoziabili della Hindutva, che prevede che l’India sia il Paese degli indù.
In effetti, Shah con la sua politica senza scrupoli pare aver messo tutte le premesse per polarizzare il Paese e lanciare la discriminante religiosa come parametro di governo. In questi giorni Shah ha accusato l’opposizione di aver avvelenato l’atmosfera con critiche ingiuste e falsità riguardo alla nuova legge sulla cittadinanza, causando tensioni e polarizzazione.
In queste settimane si sono mossi anche i cristiani che in varie parti del Paese hanno preso posizione contro la nuova legge e partecipato a manifestazioni pubbliche di protesta. Anche la comunità cristiana vive, infatti, in un clima di insicurezza, vedendo come la politica del governo Modi-Shah sia mirata contro le minoranze, in questo momento soprattutto quella musulmana, ma con la possibilità – come molti pensano – che prima o poi anche quella cristiana possa essere colpita da provvedimenti che poco hanno a che fare con la democrazia.
Alcuni politici di peso, come Mamata Banerjee nello stato del Bengala e il governo del Kerala, fiero di essere l’unico stato a essere riuscito fino ad oggi a non far entrare la combutta del Bjp/Rss nelle pieghe della sua politica, hanno dichiarato che non osserveranno le direttive imposte dal Cab.
Modi stesso si è recentemente recato nel Bengala e, dopo un lungo incontro con la Banerjee, ha incontrato diversi gruppi sia di politici che di notabili. Tuttavia, come è suo stile il primo ministro non ha fatto il minimo passo indietro.
In un momento in cui la situazione economica desta preoccupazione dopo anni di grande progresso e risultati semplicemente imprevedibili solo un paio di decenni fa, la questione politica rischia davvero di minare le fondamenta della più grande democrazia del mondo con conseguenze imprevedibili per il miliardo e trecento milioni di indiani.
Purtroppo, resta ancora vero che il Bjp può continuare a fare quanto desidera non avendo trovato una vera opposizione preparata, organizzata e, soprattutto, unita.