India e Cina, fra competizione e rincorsa

Modi e Jinping

Qualche settimana fa il premier indiano Narendra Modi ha restituito la visita di Stato che Xi Jinping aveva fatto al suo vicino di casa nel settembre del 2014, a pochi mesi dal cambio di guardia in India. I rapporti fra i due giganti sono sempre stati complessi, soprattutto dalla breve ma significativa guerra dei primi anni Sessanta.

Come ha fatto notare il già ambasciatore italiano a Delhi, Armellini, in una intervista rilasciata al bollettino dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), «il rapporto fra India e Cina si mantiene costante fra competizione e rincorsa. La crescita degli ultimi anni dell’interscambio commerciale fra i due Paesi è la dimostrazione di una relazione sempre più stretta, che però mantiene ancora forti elementi di criticità. Infatti non è ancora stato firmato un trattato di pace a seguito degli scontri del 1962 che opposero l’esercito cinese a quello indiano sulla frontiera himalayana».

In questo contesto c’erano tutte le premesse perché i due Paesi facessero del loro meglio per offrire una immagine di collaborazione piena a diversi livelli. Tale impegno sembra essere espresso dalla foto che ha riempito le testate cinesi (e anche indiane). Il presidente Xi Jinping e il primo ministro indiano Narendra Modi sono apparsi seduti sul muretto di una casa tradizionale cinese. «Hanno tratteggiato il futuro del continente asiatico, una nuova luce per il mondo intero» è stata didascalia che il Quotidiano del Popolo cinese ha riservato all’immagine, che ritrae i due leader in atteggiamento informale mentre – nell’antica capitale imperiale di Xian – aprivano la visita di tre giorni di Modi in Cina. Un desiderio comune di normalizzazione, quindi, parte di una politica di pragmatismo che distingue da tempo le due amministrazioni, che cercano vie di collaborazione sempre più strette sia a livello economico che politico e, pure, militare.

Dopo anni di dominio cinese sulla scena della finanza e dell’economia, sembra ora che sarà la crescita economica indiana a dettare l’agenda nell’immediato futuro mentre l’economia cinese pare essere entrata in una fase di rallentamento, che dura da qualche tempo. Alla nuova ripresa del subcontinente ha contribuito senza dubbio la politica del “Make in India”, che promette sconti fiscali a chi delocalizza nel subcontinente: il tutto è parte della ricetta Modi, che ha cercato prima di tutto di coinvolgere le potenti diaspore indiane all’estero. Il primo ministro di New Delhi non ha mai mancato di mostrare un apprezzamento particolare agli imprenditori e uomini di affari del suo Paese che vivono negli Usa, ma anche in Europa e in Australia. La Cina da parte sua, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione per la pluridecennale politica del figlio unico e dell’aumento del costo della manodopera, si trova a dover ridefinire vari aspetti della sua politica economica e finanziaria. In tal senso una collaborazione fra i due Paesi potrebbe essere vantaggiosa per entrambi. Già da tempo, la Cina è il maggior partner commerciale dell'India, con una bilancia bilaterale che nel 2014 ha toccato i 62 miliardi di dollari. La collaborazione potrebbe permettere a Delhi di trarre nuovi benefici dalla rinomata capacità cinese nel campo della creazione di infrastrutture (anche all'estero) e dallo sviluppo del settore manifatturiero. Da parte sua, l’India è pronta a fornire conoscenza informatica e abilità nello sviluppo dei software, necessari per rendere più competitive ed efficienti le industrie cinesi.

Le nuove possibilità di collaborazione si sono cristallizzate nella firma di 26 accordi economici per un valore complessivo di 22 miliardi di dollari – in settori quali energia rinnovabile, porti, parchi industriali e finanza –, oltre ad altri 24 patti per aumentare la cooperazione tra i due giganti asiatici. Inoltre, Modi, fedele alla sua politica del Make in India, ha anche incoraggiato le grandi aziende cinesi a investire in India, definendo la potenziale collaborazione con una sintesi efficace. «Voi siete la fabbrica del mondo laddove noi siamo l’amministrazione».

Si è anche toccato l’annoso problema diplomatico e di tensione internazionale fra i due giganti, e Modi con la sua nota capacità oratoria ha sottolineato che le due nazioni dovrebbero assumere un “atteggiamento dinamico” per risolvere la decennale disputa sui confini nella regione dell’Himalaya, nella quale sono invischiati dal 1962. Tuttavia, nel colloquio con il premier cinese Li Keqiang, Modi ha anche chiesto alla Cina di «riconsiderare il suo approccio» su alcune questioni che ostacolano le relazioni fra i due Paesi.

Intanto, a margine degli incontri dei rispettivi leader, i due Paesi stanno cercando di prendersi il controllo della Asian Infrastructure Investment Bank, un hub finanziario lanciato nel 2014 da vari governi continentali – fra cui Gran Bretagna e Germania – con la mira di estromettere dall’area la Banca mondiale, per tradizione in mano statunitense; l’Asian Development Bank, con base a Manila ma controllata dal Giappone; il Fondo monetario internazionale appannaggio dell’Europa. Nel gioco delle quote che sono in corso di negoziazione, la Cina mira ad arrivare al controllo del 25-30 per cento delle azioni, mentre l’India sembra in corsa per divenire il secondo Paese per possesso di quote. Le nazioni asiatiche dovrebbero coprire fra il 72 e il 75 per cento del totale, secondo indiscrezioni filtrate dall’incontro a Singapore, che dovrebbe stabilire l’asset iniziale della “Super Banca asiatica”.I membri fondatori di questa nuova superpotenza finanziaria sono 57: fra questi figurano nazioni diverse e a volte ostili fra loro, come Israele e Iran, mentre Stati Uniti e Giappone hanno invece deciso di rimanere fuori dalla nuova entità economica.

Infine, nelle scorse settimane, da un rapporto stilato dalla Bain&Company e China Merchants Bank, sullo stato di benessere nel dragone asiatico, è emerso che la Cina ha festeggiato il raggiungimento di un altro traguardo: un milione di milionari sul proprio territorio. Questo offre un’ulteriore dimostrazione di quanto stia avvenendo in Asia e di come il continente si offra come “la culla dei miliardari” del prossimo futuro. I numeri mostrano un aumento impressionante: nel 2012 i milionari (in dollari) erano poco meno di 700 mila, mentre nel 2010 si aggiravano intorno al mezzo milione. Alla fine del 2014 i ricchi erano invece 1,04 milioni, un numero che entro la fine del 2015 dovrebbe arrivare a 1,26. Sebbene questo aspetto non debba far dimenticare la grande sperequazione esistente in Asia come continente, e in Cina e India come Paesi, alla base della nuova ricchezza cinese, «vi sono le nuove industrie innovative, sostenute dal governo e dirette da persone con meno di 50 anni». La Cina attualmente punta su piccole e medie imprese collegate all’e-commerce, come ha confermato lo stesso premier Li Keqiang, che ha approvato un nuovo piano decennale preparato dal Consiglio di Stato che punto sulle nuove tecnologie per far ripartire l’economia.

Fonti: AsiaNews and Bollettino ISPI

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