India e conversioni, tensioni fra governo e chiese
Continua in India il contenzioso sulla questione delle presunte conversioni forzate di cui ormai da tempo vengono accusati cristiani e musulmani. La questione è sempre stata all’ordine del giorno come un nervo scoperto nella sensibilità della maggioranza indù, che percepisce, per via dei trascorsi storici, il cristianesimo e l’islam come religioni impegnate in progetti di proselitismo.
Da decenni alcuni stati (Himachal Pradesh, Uttar Pradesh e Madhya Pradesh) hanno approvato una legislazione locale che, secondo la sensibilità di alcune frange indù che tendono all’estremismo fondamentalista, tuteli da processi miranti a indurre gruppi – soprattutto fra i fuori casta e i più poveri – a cambiare religione. In passato, il cambio di religione era spesso accompagnato da assicurazioni di sostentamento sociale ed economico, oltre che educativo e medico, in particolare nelle aree tribali. Tale strategia pastorale, senza dubbio caratteristica dei trascorsi storici di diverse chiese compresa quella cattolica, è stata abbandonata da tempo da tutte le cosiddette main stream churches.
Non di rado gruppi evangelici e pentecostali hanno, invece, dato adito a sospetti, creando reazioni forti in forze politiche della destra fondamentalista indù. Da quando il partito di Narendra Modi governa incontrastato il Paese ci sono stati tentativi per approvare proposte di legge contro questi processi di conversione. Fino ad ora, comunque, l’opposizione sia di cristiani che di altre minoranze hanno impedito questo passo, che sarebbe, ovviamente, contrario alla salvaguardia della libertà religiosa.
Negli ultimi tempi, comunque, le attenzioni dei fondamentalisti indù si sono concentrate sullo stato del Karnataka, uno dei più popolosi dell’India, caratterizzato, inoltre, da una presenza cristiana importante ancorché fortemente minoritaria, come del resto in tutto il Paese. La regione è particolarmente sensibile alla questione, in quanto è una delle più ricche del Paese, sia a livello agricolo che industriale e finanziario. Basta pensare che la sua capitale è Bengaluru (Bangalore), centro mondiale di software, call-centres e compagnie finanziarie e di management che operano a livello internazionale.
Recentemente il governo locale dello stato del Karnataka ha diramato istruzioni agli organi distrettuali di polizia per assicurare un controllo attento di attività missionarie che mirino alla conversione. Il Primo Ministro dello stato, Basavaraj Bommai, il 28 settembre ha chiesto agli ispettori di polizia di controllare da vicino eventuali attività sospette di promuovere proselitismo religioso ed eventualmente punire chi fosse trovato colpevole. Bommai aveva giustificato una tale decisione con il fatto che, nelle sue visite a diversi distretti dello stato, aveva ricevuto lamentele per attività di missionari cristiani che spingevano popolazioni locali a cambiare religione. Lo stesso Primo Ministro aveva chiaramente ventilato la possibilità di introdurre una legge per impedire questo tipo di conversioni. Immediata e decisa la reazione da parte della Chiesa cattolica.
I vescovi della regione hanno subito chiesto un incontro con il capo del governo statale e in quella sede hanno chiarito la posizione dalla Chiesa cattolica, che evita con attenzione attività di questo genere. L’evidenza della posizione cattolica è data dal fatto che, sebbene il 30% della popolazione del Karnataka frequenti scuole cattoliche o cristiane di diverso grado, il numero delle conversioni resta minimo. A questo, poi, si devono aggiungere ospedali e case di cura che varie chiese (cattolica e protestanti) amministrano e che sono apprezzati per la cura e l’attenzione medica e sanitaria. Anche all’interno di tali strutture i cristiani non approfittano per incoraggiare i ricoverati e gli assistiti a cambiare fede.
L’obiezione dei cattolici e dei cristiani delle principali chiese protestanti è l’evidenza che una tale politica di proselitismo non viene realizzata in queste istituzioni dove sarebbe facile poterla portare avanti. La delegazione dei vescovi è stata ricevuta dal governo locale a fine settembre ed ha chiarito la sua posizione e quella delle varie istituzioni educative, pastorali ed assistenziali delle diocesi presenti nello stato. Tuttavia, la polemica continua, con accuse di tentativi di indurre soprattutto membri della stragrande maggioranza indù a cambiare fede con promesse pecuniarie ed incentivi di diverso tipo.
L’arcivescovo di Bangalore ha, inoltre, disapprovato la proposta del governo di condurre un’indagine sia sul numero che sulle attività dei missionari all’opera nello stato del Karnataka. Di fronte all’iniziativa governativa, Mons. Machado ha invitato le autorità politiche e amministrative a realizzare invece un’indagine che riveli il numero di persone che beneficiano delle opere educative ed assistenziali della Chiesa cattolica.
Sempre in queste ultime settimane, un’altra polemica è scoppiata a causa della proibizione da parte delle autorità di intitolare un parco della città di Mangaluru a padre Stan Swamy, recentemente scomparso a causa del covid contratto durante la detenzione, dopo essere stato arrestato con l’accusa di sostenere attività terroristiche e antigovernative. Il parco che avrebbe dovuto portare il nome dell’anziano gesuita si trova all’interno del grande campus del St. Aloysius College – una prestigiosa istituzione gesuita – che si trova nel Karnataka, al confine con lo stato del Kerala. C’è da notare che Mangaluru ha una buona percentuale di popolazione cristiana, molto attiva non solo localmente ma anche a livello nazionale, sia grazie al clero che ad un laicato ben formato e inserito in diversi ambiti della società indiana.