India, i 70 anni di Modi più popolare che mai
Nei prossimi giorni Narendra Modi, il discusso Primo Ministro dell’India, compirà 70 anni, una età per niente ‘anziana’ in un mondo politico come quello del Paese asiatico che annovera ancora protagonisti ben più in là con gli anni dell’attuale leader.
A dimostrazione del trend sta il fatto che fra i capi del governo del Paese indiano che lo hanno preceduto – Narasimha Rao, Ataul Vajpayee e Manmohan Singh – hanno iniziato il loro mandato come leader della più grande democrazia del mondo quando avevano già superato i settanta.
Come sempre, un traguardo come questo propone momenti di riflessione anche perché Modi si è imposto nell’agone politico indiano a livello nazionale dopo essere stato protagonista incontrastato della politica dello stato del Gujarat per un decennio abbondante.
Non si può, comunque, negare che la sua carriera politica, soprattutto da quando sette anni fa è diventato il candidato del BJP (Bharathya Janata Party) alla poltrona di Primo Ministro, abbia conosciuto solo successi. E questo anche nei momenti – e ce ne sono stati – in cui pareva doversi scontrare con crisi di diverso tipo, a cominciare, per non rinvangare un passato troppo lontano, dalla situazione economica attuale, tutt’altro che rosea e ulteriormente aggravata dalla pandemia, che ormai vede l’India contendere agli Stati Uniti il record per numero dei contagiati e, presto, anche delle vittime.
Come abbiamo già raccontato su Città Nuova online, la carriera politica di Modi è stata macchiata dagli incidenti di Godra, una cittadina dello stato del Gujarat dove agli albori del terzo millennio più di mille musulmani vennero uccisi in quella che fu una vera carneficina provocata da una agenda politica violenta e marcatamente pro-indù.
Il Gujarat perse credibilità sia all’interno del Paese che all’estero, ma Modi riuscì a ricostruire il sentimento dei Gujarati (come vengono chiamati gli abitanti di questa parte dell’India), noti per le loro capacità imprenditoriali. Riuscì, infatti, nonostante il veto degli USA a concedergli il permesso di entrare in territorio americano, ad attirare investimenti dal Nord America, mobilitando la diaspora gujarati presente in quella parte di mondo.
Con la crescita degli investimenti dall’estero e la nascita di un prestigioso centro per investimenti e finanza (il Gujarat International Finance Tec-City) il leader del BJP è riuscito a dare dignità e prestigio all’immagine dello stato e a far crescere notevolmente anche l’ego del gujarati come uomo d’affari di successo.
La stessa scena si è ripetuta a livello nazionale, dove nel coso degli anni, sia pure con problemi vari creati dal suo governo ed altri incontrati oltre che imprevisti, Modi si è imposto come leader indiscusso dell’India fino a portare molti, all’interno e a livello internazionale, a chiedersi come, nonostante i problemi, possa essere ancora il più popolare fra i leader sovranisti che pure abbondano sulla scena internazionale attuale.
Nelle ultime settimane, per esempio, i casi di Covid-19 stanno invadendo l’India rurale, che fino ad ora sembrava risparmiata dalla pandemia. L’economia attraversa un momento molto critico e non pochi osservatori si chiedono se riuscirà a sollevarsi di nuovo fino ad arrivare ai livelli precedenti. Cresce la disoccupazione e si calcola che circa 21 milioni di posti di lavoro sono stati persi nel giro di pochi mesi, complice anche il covid. Da mesi la tensione con la Cina nella zona himalayana è una spina nel fianco del sub-continente.
In un interessante articolo apparso sull ‘Economic Times edizione indiana, Mihir Sharma nota che vari leaders populisti – e nemmeno di ultimi arrivati (Trump, Johnson, Putin, il meno noto Lopez Lobrador in Messico) – stanno facendo i conti con una crisi di apprezzamento da parte dei rispettivi sostenitori aggravata dai problemi causati dalla pandemia.
Altri, come Erdogan, hanno dovuto giocare pesantemente la carta nazionalista e religiosa per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da una situazione interna preoccupante. Modi sopravvive e i suoi indici di gradimento salgono nonostante molte delle sue scelte non siano ben viste dalla opinione pubblica. In particolare i musulmani si sentono fortemente discriminati dopo alcuni passi controversi riguardo al Kashmir (di cui abbiamo parlato anche su Città Nuova on line), sui migranti provenienti da Paesi vicini e su certi luoghi di culto come la contesa attorno alla moschea e al tempio di Ayodhya, dove recentemente si è cominciato a costruire un luogo di culto indù.
L’aspetto che permette al Primo Ministro indiano di restare sorprendentemente a galla è la sua capacità di intervenire con decisione e con atti e scelte, senza dubbio controversi, ma che lo rivelano come un uomo che sa rispondere con i fatti alla crisi che via via si può presentare.
Lo scorso anno, parlando con la direttrice di un prestigioso college di una città del sud India, dove il partito di Modi non è ancora riuscito ad entrare, mi sono sorpreso di sentirle dire che era d’accordo con la scelta del Primo Ministro di ridurre lo stato del Kashmir a territorio dell’unione declassandolo amministrativamente dalla categoria di ‘stato’. La signora è tutt’altro che antimusulmana ma riconosceva che Modi era l’unico ad aver agito sulla questione del Kashmir che crea grossi problemi al Paese da decenni.
Lo stesso è accaduto con la decisione di chiudere il Paese in lockdown nel giro di poche ore per difendersi dalla pandemia. È vero che milioni di poveri lavoratori a cottimo sono rimasti a centinaia di chilometri da casa senza avere né un tetto né da mangiare. Ma gli altri milioni di indiani hanno apprezzato che il Primo Ministro abbia preso una decisione coraggiosa.
È interessante notare come l’opinione pubblica indiana, di fronte al crescere esponenziale dei casi e delle morti per covid, non se la prenda con Modi, ma con i burocrati e amministratori locali accusati di non saper gestire le decisioni del Primo Ministro che, invece, ha avuto il coraggio di fare dei passi inequivocabili per difendere la gente dal virus.
Modi riesce, di fatto, ad intercettare l’ethos dell’indiano medio, il suo senso culturale, umano e nazionalista dando sicurezza e, spesso, usando anche personaggi chiave come Gandhi, Tagore, Vivekananda che sono punti fissi nell’immaginario culturale e religioso della gente.
Senza dubbio il populismo sovranista asiatico – con Modi in India e, in modo diverso, Duderte nelle Filippine – non incontra le difficoltà che altri protagonisti del sovranismo devono affrontare in Europa e nelle Americhe. È una buona occasione per festeggiare i settant’anni, sapendo che la situazione attuale è piuttosto volatile e le cose potrebbero cambiare nel giro di poco.