Incontri miracolosi

A Firenze in mostra il genio di Pontormo. Mistero e forza insieme

Non sembri una esagerazione ma la mostra a Firenze, Palazzo Pitti, dei disegni che hanno condotto ai dipinti di un genio come il Pontormo, è davvero di una bellezza unica. Le tavole sono solo tre: la Visitazione, fresca di restauro, due Ritratti di un giovane e, a contorno, due tavole del Bronzino, allievo del maestro.

Il ragazzo ritratto come alabardiere, che torna dopo venti anni a Firenze dal Paul Getty Museum di Los Angeles, non è il granduca Cosimo I come si credeva, ma Francesco Guardi. Un giovane che ha partecipato alla difesa della città assediata dalle truppe di Carlo V nel 1529-30, e che vestiva alla nuova moda: capelli corti, berretto, farsetto di seta imbottita.

Alto, elegante, la pennellata liscia di Pontormo gli fa brillare la giubba, i pantaloni rossi e quel volto incredulo e fiero nello stesso tempo, sullo sfondo di una torre. Uno dei momenti più alti della ritrattistica del Cinquecento, preparato da alcuni stupendi disegni a sanguigna: il viso è più espressivo e meno dubbioso rispetto alla tavola, quasi con un certo tono di indolenza. Al contrario, nel ritratto definitivo gli occhi del ragazzo puntano su di noi e anche oltre noi, come succede in Pontormo, le cui creature sono e non sono presenti.

Diverso è invece Il ragazzo dall’occhio agguerrito (Collezione privata), contemporaneo, capelli corti e berretto rosso, la mano al fianco in segno di fierezza. Sembra si tratti di Carlo Neroni, un giovane combattente, il cui busto rivestito di striscie di cuoio viene valorizzato dal pittore con la magistrale gradualità delle ombre. Orgoglio, fermezza, decisione. Il ritratto mostra una Firenze viva nonostante la peste e la guerra, una città scolpita sul volto bruno dal fondo neutro: una parola forte a chi lo guarda.  Rimanda agli studi del pittore per un ritratto giovanile dai grandi occhi aperti, deciso a vincere le battaglie. Sono visi vigorosi e misteriosi.

Misterioso è il quartetto della Visitazione di Carmignano (1528-29), solenne e giottesca in una via dalle case squadrate che piaceranno ai pittori metafisici nostrani come De Chirico e Carrà. Le donne, di cui si vedono disegni stupendi, forse ispirati ad una incisione di Durer del 1497 con quattro figure nude, si ergono come colonne intrecciate in flussi emotivi e coloristici cangianti al grado massimo. Rossi che si sfrondano in arancio, azzurri nel verde, rosa commoventi nel bianco. Un affetto intrecciato sotto un lume irreale.

Non si può che tornare alla Deposizione nella chiesa di Santa Felicita appena pulita. È la deposizione di Cristo ma è pure quella di Maria deposta dalla croce intima, spirituale, di cui si impregna tutta la tavola, dal corpo luminoso del Figlio agli sguardi attoniti degli astanti, al terreno sollevato come in una visione, fino alla sinfonia dei violetti e dei rosa, tinte dell’aria immota, sospesa nel teatro senza lacrime.

Il Pontormo è tutto qui, anche nell’Autoritratto di lato, come lo è nella Visitazione e nei due giovani. Dove è più il non detto che il detto, tanto forte è l’emozione. Mistero e forza insieme, questo è il miracolo del Pontormo. Nel Bronzino, presente in due tavole, tutto ciò viene cristallizzato in trepidazione vitrea. Tavole e disegni tanto straordinari meritano un viaggio. Fino al 29.7, poi a New York e Los Angeles (catalogo Giunti).

 

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