Incontrarsi per la pace ad Assisi
Mentre l’Egitto vive un conflitto pericoloso, Benedetto XVI annuncia che andrà ad Assisi per il XXV dello storico incontro dei leader religiosi.
Parole del papa a Capodanno: «Nel messaggio per l’odierna Giornata della pace ho avuto modo di sottolineare come le grandi religioni possano costituire un importante fattore di unità e di pace per la famiglia umana ed ho ricordato, a tale proposito, che in questo anno 2011 ricorrerà il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace che il venerabile Giovanni Paolo II convocò ad Assisi nel 1986. Per questo, nel prossimo mese di ottobre, mi recherò pellegrino nella città di san Francesco, invitando ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio predecessore e di rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace. Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio. Vi invito ad accompagnare sin d’ora con la vostra preghiera questa iniziativa».
Vale la pena citare per intero questo annuncio a sorpresa di Benedetto XVI. È stata una notizia sperata, ma non scontata e, per questo, di quelle che portano gioia e incoraggiano. Molti che da anni lavorano nel campo del dialogo da mesi si chiedevano cosa sarebbe stato dell’ottobre 2011, venticinque anni dopo quella fredda serata del 1986, quando Giovanni Paolo II riscrisse la storia. Non era mai successo prima che leader di diverse religioni del mondo intero si trovassero per pregare per la pace, ognuno secondo la propria tradizione e sensibilità, senza confusioni, nel rispetto delle reciproche diversità, ma insieme.
Ci si chiedeva come poter celebrare quel giorno che, dopo un quarto di secolo, sembra lontano e che ha cambiato il corso della storia, molto più di eventi tragici che riempiono le pagine dei giornali, come quelli che si stanno verificando in questi giorni in Egitto, ma che alla fin fine non hanno influenze positive sulla vita dei credenti.
Giovanni Paolo II, da quel gran profeta che era, aveva avuto un’intuizione geniale, forse non condivisa da molti, che avevano paventato sincretismo e confusione. Ma il papa polacco aveva saputo spiegare con altre decine e centinaia di atti, in giro per il mondo, cosa quella giornata avesse significato. Si trattava di una grande sfida per i cristiani chiamati a rendersi conto delle responsabilità e delle scelte che «tutti nella Chiesa – come disse alla Curia romana in quel 1986 – dovremmo assumere o stiamo già assumendo per rispondere alla vocazione fondamentale della Chiesa tra gli uomini di essere “sacramento di redenzione universale” e “germe validissimo di unità e di speranza per tutta l’umanità” (LG, 9)».
Quell’atto chiedeva un cambio di mentalità epocale. «Non c’è che un solo disegno divino per ogni essere umano che viene a questo mondo (cf. Gv 1, 9), un unico principio e fine, qualunque sia il colore della sua pelle, l’orizzonte storico e geografico in cui gli avviene di vivere e agire, la cultura in cui è cresciuto e si esprime. Le differenze sono un elemento meno importante rispetto all’unità che invece è radicale, basilare e determinante». Si trattava di diventare coscienti che abbiamo davvero un unico Padre e che siamo parte della stessa grande famiglia dell’umanità.
Spesso davanti a quegli avvenimenti che sembrano irridere questi ideali – gli attentati alle chiese di Baghdad e di Alessandria ne sono esempi eclatanti –, si farebbe bene a fermarsi e a chiedersi come eravamo prima di quella sera di fine ottobre 1986. Forse non siamo più in grado di renderci conto di quanta strada sia stata fatta per realizzare quella svolta. Per questo l’invito di Benedetto XVI è importante. Solo lui poteva continuare su quella strada tracciata dal suo predecessore. In fin dei conti, tutti coloro che da poco o da tanto tempo s’impegnano nel dialogo fra le religioni e le cultur speravano proprio che lui, venticinque anni dopo Giovanni Paolo II, indicasse un altro pezzo di strada da fare.
Perché anche per papa Ratzinger il dialogo è un pellegrinaggio comune. «Che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce – è questo il dialogo interreligioso» ha scritto nel 2009.
Assisi 2011 sarà senz’altro un passo avanti nell’avvicinarsi gli uni agli altri e, tutti insieme, a Dio.