Incontrare don Milani a San Miniato
Risale a quasi due anni fa il progetto di uno spettacolo sulla figura di don Lorenzo Milani. Artefici il regista Leo Muscato e Laura Perini entrambi autori di un testo – nato per il teatro e successivamente ampliato per una miniserie televisiva – frutto di un’approfondita indagine condotta nei luoghi del prete di Barbiana e le testimonianze degli scolari di quella emblematica sua Scuola Popolare diventata modello educativo.
E non poteva esserci luogo più appropriato, per la prima messinscena, della Festa del Teatro di San Miniato, l’appuntamento annuale che da 70 anni celebra quel “Teatro dello Spirito”, sempre attento, per vocazione, non solo al messaggio tipicamente cristiano, ma ai valori umani, alle questioni di senso richiamate dalla pressante attualità. Una serie di felici coincidenze negli ultimi tempi (non ultima, e la più rilevante, la visita di papa Francesco nei luoghi della presenza di don Milani) che hanno riportato alla ribalta la significativa attualità della sua vita e del suo operato, ha dato ancor più rilievo alla scelta della Fondazione Istituto Dramma Popolare, già decisa in tempi non sospetti per il cinquantenario della morte, di rappresentare, per questa edizione, il “Vangelo secondo Lorenzo”.
E va detto subito che lo spettacolo di Muscato, evitando la trappola dell’agiografia, con mano felice rende giustizia, per qualità di scrittura drammaturgica e per resa scenica, alla comprensione e alla conoscenza dell’uomo Milani, al suo coraggioso operare di educatore appassionato per annunciare Cristo, alla testimonianza che ha lasciato segnando, tra il resto, l’idea dell’insegnamento scolastico con una visione a dir poco prospettica ancora oggi, un’esperienza intellettuale, radicale, utopica e politica, ben oltre i confini di un piccolo paese, di una nazione, e del suo tempo. Lo spettacolo, potrei dire, è un vero incontro con don Milani, apre alla sua conoscenza, permette – con i mezzi e la dinamica che sono propri del teatro, anche lanciando messaggi, ponendo riflessioni, risvegliando menti e cuori assopiti – di accostarsi, oltre al suo pensiero, al travaglio spirituale e umano che egli visse. Incompreso, isolato e osteggiato dalle stesse autorità ecclesiastiche – siamo negli anni preconciliari – per la sua radicalità e coerenza evangelica, eppure sempre fedele alla Chiesa, sappiamo che si spese imperterrito a favore dei più poveri e dei dimenticati, degli analfabeti adulti e ragazzi, credenti, atei e comunisti, di tutti quelli che egli definiva “i senza voce”, consapevole di come l’uguaglianza si possa conseguire attraverso la padronanza del sapere e della parola.
La scrittura collettiva, la lettura dei giornali, i ragazzi più grandi che insegnano a quelli più piccoli erano i fondamenti della sua Scuola nel piccolo villaggio ai piedi del monte Giovi. All’amico Don Pugi che gli consigliava di non esporsi troppo con i suoi discorsi, egli rispondeva: «Prima della Scuola Popolare, i miei operai trascorrevano le serate al bar, e sapevano tutto di Coppi e Bartali al Giro d’Italia. Adesso ne sanno anche di Bach e di Mozart e Caravaggio e Gandhi».
Allestita all’interno della imponente Chiesa di San Francesco (la stessa dove debuttò nel 1948 un giovane Giorgio Strehler con “Assassinio nella cattedrale” di T.S. Eliot), strutturata per quadri e cadenzata dall’alternarsi di singole figure che sintetizzano dei periodi – ricorre spesso la madre, anche nei dialoghi col figlio, quale figura reale o apparizione della mente e del cuore –, la messinscena del testo è stata ridotta a due tempi: “Vita da cappellano 1947-1954”, e “Vita da priore 1954-1967”. Il racconto procede con ritmo veloce e coinvolgente coprendo vari anni della sua vicenda umana, calata dentro il contesto sociale e politico, non solo italiano, dell’epoca, di cui si accenna per sintesi nei dialoghi e in alcune scene attraverso eventi quali la campagna elettorale per le amministrative del maggio 1951 con la vittoria della DC, i licenziamenti e gli scioperi alle Fonderie Pignone, la Guerra Fredda, il Patto Atlantico, la crisi di Cuba.
Ed è illuminante ascoltare stralci di alcuni testi fondanti di don Milani, come la “Lettera a una professoressa” sul suo originale progetto educativo, le “Esperienze pastorali”, la “Lettera ai cappellani militari della Toscana” sull’obiezione di coscienza, la “Lettera ai Giudici”, per difendersi dalle accuse di Apologia di reato nel processo che lo attendeva a Roma, fino alle ultime parole prima della sua morte rivolte ai suoi ragazzi: «Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto».
L’allestimento si avvale di una scena fissa e geometrica (di Fabrizio Biancalani), astratta nelle striature di colore: un enorme stanzone con due porte laterali e una grande parete frontale con una sorta di saracinesca che si alza e si abbassa permettendo cambi di scena e di oggetti per definire ambienti. Tutto molto semplice, ma efficace e pregnante di contenuti che arrivano dritti al cuore grazie ad un bel cast di interpreti che coprono più ruoli, con in testa Alex Cendron nei panni di don Milani, ben calato nel ruolo con verità di restituzione. Non poteva mancare la presenza di ragazzi. E sono un piccolo gruppo della cittadina toscana, che ravvivano la riuscita di questo “Vangelo secondo Lorenzo”. Lo spettacolo meriterebbe, e c’è da augurarselo, una circuitazione più capillare nei teatri italiani, oltre alla tournée prevista da marzo 2018 grazie alla coproduzione col Metastasio di Prato, Arca Azzurra, Elsinore, e Festa del Teatro di San Miniato.
“Vangelo secondo Lorenzo” di Leo Muscato e Laura Perini, regia Leo Muscato, scene Federico Biancalani, costumi Margherita Baldoni, luci Alessandro Verazzi, interpreti Alex Cendron, Alessandro Baldinotti, Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Nicola Di Chio, Silvia Frasson, Dimitri Frosali, Fabio Mascagni, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Beniamino Zannoni. LXXI Festa del Teatro a San Miniato. Dal 20 al 26/7.