Inchiesta zona rossa, ascoltati Conte e i ministri
«Le audizioni si sono svolte in un clima di massima distensione e collaborazione istituzionale. (…) Ce ne andiamo grati delle dichiarazioni che abbiamo avuto». Così Maria Cristina Rota, procuratore di Bergamo, dopo aver sentito ieri il premier Giuseppe Conte nell’ambito dell’inchiesta sulla mancata istituzione della zona rossa nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro, nel bergamasco. Il presidente del Consiglio non è indagato, ma è stato ascoltato come persona informata sui fatti, dunque come semplice testimone, come pure i ministri per l’Interno, Luciana Lamorgese, e per la Salute, Roberto Speranza. La convocazione segue quella del governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana, dell’assessore al Welfare lombardo, Giulio Gallera, e del presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro.
«Ho voluto chiarire tutti i passaggi nei minimi dettagli», ha detto il premier dopo l’audizione, avendo già spiegato ai cronisti: «Ho agito in scienza e coscienza, rifarei tutto». «Penso che chiunque abbia avuto responsabilità dentro questa emergenza, dal capo dell’Oms al sindaco del più piccolo paese, debba essere pronto a rendere conto delle scelte fatte», è stato il commento del titolare del dicastero per la Salute.
Al centro dell’inchiesta il nodo della responsabilità circa la mancata chiusura dei Comuni all’ingresso della Val Seriana.
I Pm di Bergamo sono al lavoro per chiarire se la decisione spettasse al Governo o alla Regione o a entrambi, valutare se si sia trattato di un atto politico o amministrativo o di una scelta seguita alle pressioni da parte degli imprenditori locali (secondo Confindustria Bergamo il distretto industriale di Alzano-Nembro conta poco meno di 400 aziende per 850 milioni di euro di fatturato annuo), ed eventualmente ipotizzare il reato di epidemia colposa omissiva.
Difficile ad oggi valutare se la scelta di non dichiarare zona rossa i due Comuni ai primi di marzo abbia influenzato l’andamento dell’epidemia che ha visto un alto numero di morti in Val Seriana.
Sulla questione c’è stato un rimpallo di responsabilità fra Governo e Regione, circa la competenza ad operare la chiusura dell’area. I giorni dell’indecisione, prima della scelta di dichiarare zona rossa l’intera Lombardia insieme a 13 province di altre Regioni, sono quelli dal 3 al 9 marzo, quando la disposizione del Governo diventa operativa. Ma la cronaca racconta che le prime avvisaglie di un focolaio in espansione risalgono a fine febbraio e presumibilmente hanno origine dall’ospedale di Alzano, dove vengono scoperti due pazienti affetti da Covid-19. Tuttavia, secondo l’inchiesta del Corriere della sera, al Pesenti Fenaroli in quei giorni non vengono effettuati tamponi, il pronto soccorso viene chiuso e subito riaperto senza sanificazione, non viene istituito nessun protocollo speciale e pazienti e familiari sono liberi di muoversi. E intanto cresce il numero di contagi e decessi.
Ci si chiede perché nelle relazioni della Regione alla Protezione civile, dal 21 febbraio per 5 giorni, non si fa riferimento alla provincia di Bergamo, dove i dati sono allarmanti, né tanto meno viene disposta o chiesta al Governo l’istituzione della zona rossa. Come invece accade per il Lodigiano dove in 24 ore, per iniziativa della Regione e con l’ok del ministero per la Salute, viene disposta la zona rossa intorno a Codogno e blindati 10 paesi. E come fanno di loro iniziativa altre Regioni, nel pieno rispetto delle competenze che riconosce loro la legge.
Solo il 27 febbraio la Regione comunica al Comitato tecnico scientifico, istituito dal Governo per supportarne le scelte nell’emergenza Covid, alcuni dati riferiti al bergamasco dove Nembro appare come il quarto comune più colpito della Lombardia. Il 29 febbraio nella provincia si contano oltre 100 nuovi casi. Gli ospedali sono in sofferenza e chiedono sostegno, ma il 2 marzo l’assessore Gallera esprime dubbi sull’utilità di istituire la zona rossa nella bergamasca. Lo smentisce il Comitato tecnico-scientifico che sulla base dei dati forniti e rilevando un «alto rischio di ulteriore diffusione del contagio», il 3 marzo evidenzia la necessità di «adottare le opportune misure restrittive già adottate nella zona rossa anche in questi due Comuni al fine di limitare la diffusione nelle aree contigue». Un parere a cui tuttavia non segue alcuna disposizione, né da parte della Regione né del Governo. A ribadire la necessità di chiudere il 5 marzo a Palazzo Chigi arriva una relazione del presidente del Comitato, e presidente dell’Iss, Brusaferro.
Anche se formalmente non c’è ancora nessuna interdizione, dal 6 marzo le forze dell’ordine e l’esercito sono inviati a sorvegliare le aree. Solo l’8 marzo Conte firma il provvedimento che dichiara zona rossa tutta la Lombardia, e il 9 lo stesso entra in vigore.
Ad oggi ci si chiede perché quella decisione non fu presa prima e a chi spettava. Al di là delle dichiarazioni, secondo quanto emerge dai colloqui con il pool di pm coordinati dalla Rota, la Regione Lombardia non ha mai chiesto formalmente di dichiarare zona rossa i comuni di Alzano e Nembro, pur avendo la competenza per farlo. La Regione attribuisce questa responsabilità al Governo e gli contesta il mancato intervento. Ma la risposta di Conte è chiara. Decise di aspettare perché «intanto era maturata una soluzione ben più rigorosa, basata sul principio della massima precauzione, che prevedeva di dichiarare “zona rossa” l’intera Lombardia e 13 Province di altre Regioni».
In attesa di conoscere le valutazioni dei pm, l’inchiesta resta senza indagati.