Incertezze nel processo di pace

Il governo e le Farc hanno iniziato i negoziati con franchezza e poca diplomazia, facendo crollare la speranza di un'intesa rapida. Il prossimo incontro si svolgerà a Cuba il 15 novembre
marques farc colombia
La prima fase dei negoziati di pace tra il governo colombiano e i guerriglieri delle Farc, che ha avuto luogo a Oslo, ha lasciato perplessi gli osservatori che forse si aspettavano con certo ottimismo un clima di dialogo meno polemico e parole meno dure. In Colombia ci si attendeva che questo primo faccia a faccia tra il governo di Juan Manuel Santos e i leader delle Farc avrebbe segnato l'inizio di una resa dei guerriglieri, dopo quasi mezzo secolo di conflitti e, soprattutto, dopo che i ribelli sono stati decimati da perdite e diserzioni, mentre vari dei loro conduttori storici sono morti.

Con il suo discorso, Iván Márquez, portavoce e numero due dell'organizzazione, ha colto l'occasione per portare all'attenzione internazionale una critica al modello economico e sociale colombiano e al sistema di investimenti, oltre che alle forze armate, formulando una serie di richieste in materia di sviluppo che, in realtà, non erano previste nell'agenda dei negoziati. Un discorso poco diplomatico, come la successiva risposta del rappresentante del governo, Humberto de la Calle, portavoce, che ha ricondotto la discussione alle questioni poste all'ordine del giorno della riunione.
 

Niente di nuovo sotto il sole, tutto sommato: quello delle Farc non era certo un discorso nuovo e, secondo l'opinione di alcune organizzazioni sociali, le critiche erano corrette. Márquez ha anche criticato la legge sulle vittime della guerra e sulla restituzione delle terre abbandonate dai rifugiati, che favorirebbe a suo avviso gli imprenditori più che i danneggiati dalla guerra. Un tema sensibile che riguarda un totale di otto milioni di ettari di terreno. Secondo il governo, quasi il 40 per cento delle richieste di restituzione è stato presentato da vittime delle Farc, pertanto, secondo quanto dichiarato dallo stesso presidente Santos, le critiche di Márquez hanno come obiettivo la conservazione di una bandiera storica della guerriglia.
 

Sebbene si sia trattato di un esordio che ha freddato le attese, secondo un sondaggio realizzato in Colombia il 67 per cento delle persone consultate ha apprezzato la franchezza del linguaggio delle due parti, anche se dovendo assegnare un voto da uno a dieci alle chances di raggiungere un risultato positivo, la fiducia nel processo di pace ha ottenuto in media appena un 5,06.
 

Questa situazione conduce a un bivio: considerando che le parti negoziano in assenza di un cessate il fuoco, l'opinione pubblica può influire molto sulla continuità del processo che il 15 novembre prossimo aprirà una nuova fase, questa volta a Cuba. Se le Farc non mostreranno una reale intenzione di giungere a una resa, quand'anche conveniente, la cittadinanza comincerà ad appoggiare l'opzione militare alla quale le Farc non pare possano resistere. Infatti, i guerriglieri hanno emesso un comunicato proprio per non lasciare dubbi in merito all'intezione di giungere a un risultato positivo.
 

Ma quella militare è l'opzione che vuole evitare anche il presidente Santos, cosciente che pure in caso di successo il costo umano sarebbe sempre troppo alto. In tal senso, il presidente colombiano si colloca in una posizione completamente diversa da quella del suo predecessore, Alvaro Uribe, che è uno dei critici più severi di questo processo di pace. Santos, da parte sua, ha mostrato i frutti della sua moderazione e del dialogo: ha migliorato prima di tutto i rapporti col vicino Venezuela, al punto che oggi il governo di Caracas è uno dei Paesi che accompagna il processo di pace; ha reinserito la Colombia nella comunità sudamericana dalla quale, durante la gestione di Uribe, era stata praticamente esclusa; ha messo all'angolo militarmente le Farc, ma comprende il bisogno di arrivare alla pace interna, consapevole che in ogni guerra alla fine tutti perdono qualcosa.

 

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