Incenerire e/o differenziare?
L’emergenza rifiuti a Palermo pone interrogativi sull’efficacia degli inceneritori. In Sicilia esistono anche esempi virtuosi, vedi Trapani.
Cinquanta, quaranta, trentacinque: la conta dei giorni dell’emergenza spazzatura a Palermo è variabile, perché variabili sono anche la modalità e i tempi di raccolta che non consentono alla città una tregua dall’olezzo nauseante e dagli incendi sistematici di rifiuti. Palermo uguale Napoli? Il governo e il ministro per l’Ambiente propendono per il sì. I politici locali nicchiano con un rimbalzo di responsabilità tra la Regione e il Comune. Innegabili rimangono comunque i cumuli di immondizia sparsi in ogni dove, dalla periferia al centro.
Da oltre un anno con fasi alterne, grazie al soccorso dei comuni vicini, il capoluogo siciliano è riuscito a scampare l’intervento massiccio della protezione civile e lo stato di emergenza, ma l’Amia, l’azienda per la raccolta dei rifiuti è al collasso finanziario e vertici e conti sono sotto studio da parte della magistratura. Il suo presidente infatti è ritenuto responsabile della bancarotta, avendo dirottato i fondi destinati agli stipendi degli operai e a nuovi automezzi su viaggi in Paesi arabi e su investimenti senza successo.
Per Donatella Costa, presidente della Reterifiutizero «la criticità palermitana rischia di varare la costruzione di inceneritori senza valutare né l’impatto ambientale, né tanto meno la possibilità di estendere la raccolta differenziata e di definire un ciclo integrato di gestione dei rifiuti». Chi parla di differenziare viene irriso dalle campane di vetro, carta e alluminio, sempre stracolme, anch’esse una discarica, ma stavolta di materiale riciclabile. La discarica vera e propria della citta è quella di Bellolampo, su una collina che sovrasta la conca d’oro. Stracolma di percolato, un liquido altamente inquinante prodotto dalla decomposizione dei rifiuti, andrebbe immediatamente bonificata, trasportando il liquido in impianti di stoccaggio adeguati. Costo dell’operazione 12 milioni di euro, che il governo regionale si è offerto di anticipare per poi riprenderli dalla Tarsu, la tassa urbana sui rifiuti: alla fine saranno sempre i cittadini a pagare.
L’esperimento Palermo differenzia, inaugurato pochi mesi fa, con cui si incentivava la raccolta all’interno dei condomini, ha dato buoni risultati dove è stato sperimentato. «Peccato – aggiunge la Costa – che abbia riguardato appena il 5 per cento della popolazione, cioè 7-8 mila abitanti al massimo». E intanto a Mondello, zona residenziale della città, il centro di separazione del materiale plastico proveniente da riciclo resta chiuso per assenza di collaudo, ma la Costa parla anche di «boicottaggi amministrativi». Il parallelismo con Acerra, in Campania diventa inevitabile: anche lì l’impianto non apriva per problemi burocratici. A questo punto sembra davvero che l’unica soluzione siano i termovalorizzatori, proposti dal governo. Anche Palermo come Napoli? «Intanto bisogna chiamarli con il loro nome e cioè inceneritori – specificano ancora da Reterifiutizero – e poi la combustione di rifiuti genera sempre un 30 per cento di scarto che va trattato in discariche speciali. La produzione di energia in questo trattamento poi, è minima in confronto a quella consumata dall’impianto attivo». La tecnologia con cui sono stati progettati gli impianti siciliani è obsoleta, come lo era quella dell’impianto di Acerra, che è stato rimodernato dall’A2A di Milano prima di entrare in funzione, altrimenti avrebbe arrecato danni incalcolabili all’ambiente.
Intanto l’associazione ha presentato al sindaco Diego Cammarata un progetto alternativo, dove si propone come modello l’esperienza di Vedelago, un comune in provincia di Treviso. Qui il riciclaggio si attesta al 99 per cento arrivando persino a differenziare 15 tipi di plastica differenti, ragion per cui la percentuale da incenerire è davvero minima. La scelta di soluzioni compatibili con l’ambiente abbatterebbe pure i costi: 2 milioni per un impianto contro i 35 milioni per un inceneritore. Un affare ghiotto per la malavita locale che ha già portato all’annullamento di varie gare d’appalto, per inquinamento dell’asta. «Differenziando poi si potrebbero persino creare posti di lavoro – insiste la Costa –, 15 mila a fronte degli 80 impiegati per incenerire».
Bisogna comunque non generalizzare. La situazione di Palermo non si può estendere all’intera Sicilia. Ci sono esempi virtuosi, come a Trapani, provincia limitrofa al capoluogo siciliano. Qui in pochi mesi l’Ato è arrivato a punte di raccolta del 40 per cento dopo un avvio in sordina. In provincia funzionano gli impianti di compostaggio e anche la diminuzione della tassa sui rifiuti, ai cittadini che riciclano, è servita da incentivo, al punto che la provincia è stata persino premiata da Legambiente. «La gente è contenta, spiega la professoressa Adele Pastore, impegnata in varie azioni sociali. C’è un calendario di raccolta settimanale e poi ci sono dei centri specifici, dove si possono conferire i rifiuti. Le quantità riciclate vengono segnate su una tessera dove è scritto il codice fiscale dell’utente. Le tasse sui rifiuti saranno calcolate in base all’entità di materiale consegnato e quindi diminuiscono se aumenta la raccolta». «C’è stata la fatica di cominciare e di abituarsi – prosegue la Pastore – ma la città è pulita, le nostre strade non puzzano e il nostro portafogli gioisce». Tutto in meno di un anno.