In viaggio verso Halki
Arrivo ad Istanbul di notte. Piove ma non è freddo. Una metropoli immensa estesa 100 chilometri a cavallo del Bosforo, tra l’Europa e l’Asia. La temperatura è almeno 10 gradi maggiore di Roma. Il fascino dei contrasti è immutato. Moschee accanto a grattacieli illuminati di rosso e di azzurro. Cartelloni pubblicitari giganti con modelle del tutto simili agli standard Occidentali e donne velate, giovani e anziane, camminano sulle strade trafficate fino a tarda notte. Hotel fantasmagorici e condomini dove la centralina per la misurazione del gas e le tubature sono in bella vista nel pianerottolo accanto la porta d’ingresso. Sulla metro non si avverte tensione neanche nella centrale piazza Taksim. Anche ad Ankara l’attentato di ottobre fu improvviso e inaspettato. Tutto può succedere, ma non noto controlli eccessivi né particolari spiegamenti di polizia. Roma appare molto più presidiata e impaurita. La recente rielezione del presidente Erdogan è considerata dalla gente comune come il male minore, il meno peggiore dei candidati a disposizione e le polemiche sull’abbattimento del Mig russo ordinaria dialettica politica.
La mattina dopo mi accoglie un cielo plumbeo e a tratti piove. Dal punto d’imbarco dei vapur, i traghetti, si nota ancora meglio il legame di questa città sul mare. Traspare un senso di apertura verso l’ignoto tra il via vai di decine d’imbarcazioni che si muovono sul Mar di Marmara tra il lato orientale, asiatico, e il lato occidentale, europeo, di Istanbul. Sono diretto all’isola di Halki, in greco, Heybeliada in turco, dove ha sede il monastero della SS. Trinità del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli.
Sul Mar di Marmara è calma piatta, un brodo oleoso, denso di meduse. Nei giorni scorsi sono state sospese tutte le corse, tanto il mare era agitato. In navigazione si può leggere e bere il cay, il tè turco. Lo servono da una caraffa di latta e lo allungano con acqua calda. Si può bere in un bicchiere di carta o nel tipico sinuoso bicchiere di vetro con un cucchiaino dentro. Noto che i giovani, forse per motivi igienici, preferiscono la carta, gli anziani il vetro. Li provo tutti e due, costa 20 centesimi di euro, e la differenza di sapore è netta a favore del nonno che beve di fronte a me. La barba non rasa, i baffi bianchi e folti, la concentrazione nella lettura, il suo muovere continuamente le labbra come se stesse masticando qualcosa anche con la bocca chiusa, la sua solennità mi portano alla mente l’orgoglioso proverbio “felice colui che può dire di essere turco”. Sono stato a Istanbul trent’anni fa e l’unica parola che ricordo è burdà, che significa "qui". Presto attenzione e, sarà un caso, ma la sento spesso riecheggiare.
Come ci allontaniamo da Istanbul il cielo si fa più sereno e, in lontananza, s’intravede l’arancione del sole riflesso nel cielo. L’aria del mare, fresca e salmastra, penetra dalla finestra, il clima è decisamente primaverile, rispetto al freddo invernale di Roma, e giunti a destinazione, il sole splende con forza.
Halki è un’isola straordinaria. Luogo turistico d’estate dove non circolano macchine. I suoi 4 mila abitanti si muovono a piedi o come noi, con il feyton, il tipico calesse a due cavalli. La strada è tutta in salita, i cavalli arrancano, non si odono suoni se non cornacchie, cani che abbaiano, il vociare dei bambini nelle scuole, un elicottero finché giungiamo in cima alla collina dove ha sede un monastero antichissimo, fondato nel IX secolo. Il luogo è famoso per aver ospitato dal 1844 fino al 1971 il seminario che formava il clero greco-ortodosso, poi chiuso per motivi politici e da qualche anno in procinto di riaprire. E’ qui che si svolge fino al 30 novembre il 34esimo convegno ecumenico dei vescovi amici dei Focolari. 50 partecipanti provenienti da 19 Paesi. “Insieme per la casa comune” è il tema del convegno incentrato sull’unità al servizio della famiglia umana nella diversità dei doni. Luogo che non poteva essere più adatto.