In viaggio nel Grande Nord
Stoccolma dai colori vivaci, Oslo austera e sobria, Copenhagen dai ritmi dolci e pacati.
Per chi viaggia nel Grande Nord, specie nelle tre capitali scandinave – Stoccolma, Oslo e Copenaghen – emozioni e sorprese sono garantite. Nella città dei Nobel, dove si concentra ogni autunno l’attenzione mondiale, sono proprio i luoghi legati al più blasonato dei premi ad attirare subito il turista: l’Accademia di Svezia, nel cuore storico della città, con la facciata neoclassica che spicca fra le tipiche case nordiche dai colori vivaci, le mansarde e i decori, e l’imponente Municipio, costruito nel primo ‘900 con 8 milioni di mattoni rossi.
Nell’immenso atrio, circondato da colonne, si svolge il pranzo di gala dopo l’assegnazione del Nobel, con centinaia di invitati illustri – anzitutto i reali svedesi e i premiati – e un menù rigorosamente italiano.
Ma la più grande emozione di Stoccolma è la vista del Vasa, l’enorme vascello affondato il 10 agosto 1628 nel porto della città, subito dopo il varo. Recuperato nel 1961, dopo 333 anni nell’abisso, oggi è lì, restaurato in tutto il suo splendore – centinaia di statue di legno dorate e intagliate e altrettanti cannoni, e poi stemmi colorati, corde, vele, alberi, drappi e quant’altro – a rappresentare una delle maggiori attrazioni storico-culturali e turistiche della Svezia e del mondo.
Oslo è austera, sobria, grigia, dice qualcuno. Ma le sorprese ci sono. Vicino al porto c’è un colossale ghiacciaio (!) che si scioglie nel Mare del Nord. Impossibile? Eppure è così che gli architetti dello Studio Snohetta hanno concepito e progettato lo spettacolare teatro dell’Opera e del Balletto, un gioiello di marmo di Carrara e vetro inaugurato due anni fa.
Preferite un parco ornato da centinaia di sculture di bronzo ispirate ai nobili temi dell’amore coniugale, della famiglia, della maternità, della vita? Andate nel Frognerpark, il più famoso parco norvegese, ideato e realizzato fra gli anni ’20 e ’40 del ‘900 da Gustav Vigeland, che vi ha creato ben 192 gruppi scultorei. Al centro un possente monolite di granito, con 121 figure umane abbracciate che salgono faticosamente verso la cima.
Ma ad Oslo come ovunque, positivo e negativo si alternano nei messaggi degli artisti. Ai valori celebrati nel Frognerpark si contrappone L’urlo, il capolavoro di Edvard Munch, al centro della sala a lui dedicata nella Galleria nazionale. Davanti al quadro c’è sempre folla, e quando arriva il proprio turno ci si trova di fronte a una impressionante profezia (il dipinto è del 1893) dell’angoscia, del terrore e della disperazione che avrebbero segnato tanta parte della cultura – e della storia, e della vita – del ‘900.
E a questo punto per tirarsi su è meglio andare nella sala del Municipio dov’è stato Barack Obama, quando ha ritirato l’unico Nobel che non si assegna a Stoccolma, ma a Oslo, quello della Pace. Così si può lasciare la città senza l’amaro in bocca.
A Copenaghen la prima sorpresa è scoprire che la Disneyland danese ha un nome italiano, anzi un cognome: Tivoli. Pare che si chiamasse così una famiglia di saltimbanchi italiani attiva in Danimarca nel primo ‘800, e da quasi due secoli tutto il mondo ripete questo nome per indicare il grandissimo parco di divertimenti creato nel 1834 da Georg Carstensen al centro della città. Chiamarlo lunapark sarebbe riduttivo.
L’enorme area verde è illuminata da oltre 100 mila lampadine e riordinata ogni notte da un esercito di giardinieri. Oltre alle 20 attrazioni da megalunapark, ci sono una ventina di ristoranti di ogni tipo, e soprattutto teatri e sale da concerto, che con le loro centinaia di spettacoli ogni anno hanno ormai un rilievo culturale che va ben oltre il parco di divertimenti (il Tivoli ha pure una propria orchestra sinfonica e un club di jazz). Il Teatro dei Mimi, ad esempio, è rimasto l’unico al mondo a rappresentare la commedia dell’arte italiana. Il Teatro Cinese, eretto in stile eclettico nel 1874 da Jens Vilhelm Dahlerup, è nei libri di architettura.
Però a Copenhagen la vera emozione si prova girando in battello per i canali di questa ennesima “Venezia del nord”. Si vedono le cose più belle, si entra davvero “dentro” la città, nei suoi ritmi – che sono dolci, pacati, come in tutta la Scandinavia – nel suo spirito. E mentre navighi le persone, le famiglie ti salutano agitando le mani dalle barche, dai parapetti, dalle soglie dei locali. Cordiali, serene, con un sorriso.