In treno

Quando il tempo sembra perso ma speso per gli altri fa dell’attimo presente un grande tesoro.
Foto Pexels

Sto viaggiando in treno, evento assolutamente insolito per me che sono abituata a usare l’auto e, per giunta, quasi sempre a guidarla. Per questo, pregusto la lettura del libro che ho portato per tenermi compagnia (Memorie di un cristiano ingenuo, di Igino Giordani, Ed. Città Nuova), due ore tutte per me. Estraggo gli occhiali dalla borsa e mi accingo ad aprire il volume.

Un trio di sorelline, 4, 5 e 8 anni, prende posto sui sedili accanto al mio, la mamma siede un po’ più in là. «Come ti chiami?», esordisce Dora, la più piccola. Rispondo con dolcezza. Non immagino che questa sarà la prima di una serie interminabile di domande, del tipo: «Dove abiti? Quanti anni hai? E lui come si chiama (riferito al signore che siede in disparte)? Ma tu quale “winks” preferisci? Facciamo un gioco?», e così via.

Ho capito. Chiudo il libro e ripongo gli occhiali. Dopotutto è questo il mio momento, che senso avrebbe perdersi questa opportunità di “stare a gioco”? Non per niente, la mattina avevo letto il commento a una parola del Vangelo, «Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora», che mi esortava ad “attendere lo sposo”, amando concretamente, servendolo ad esempio in chi ci è vicino. Ed eccomi a giocare a “Indovina l’animale”, che comincia per “i” e finisce per “a” e che si scopre sarà la “mucca”, ma Dora è piccola e non conosce bene l’alfabeto, pronte a prendere le sue difese Sara e Gaia.

Un’ora passa in un lampo e giunge, per le mie giovani amiche arrivate a destinazione, l’ora di scendere. Dopo avermi informata nei dettagli sui loro programmi per la serata: visita a nonna Silvana, dolcetto o scherzetto, ecc., il trio si accomiata animatamente, tra uno sbracciarsi e l’altro di saluti e di ringraziamenti per aver giocato insieme. Che dire, quest’oretta… mi ha lasciato il segno!

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