In silenzio per impedire nuove stragi

I crimini di Hamas non giustificano la punizione collettiva della popolazione palestinese di Gaza. Appello della società civile italiana che chiede, con Amnesty, il rispetto del diritto umanitario internazionale
Gaza ottobre 2023 (AP Photo/Mohammed Dahman)

In silenzio, senza bandiere e slogan. Davanti all’orrore di ciò che si sta consumando in Terra Santa sono queste le modalità annunciate dagli organizzatori della manifestazione della società civile che si svolgerà il 27 ottobre a Roma in piazza dell’Esquilino, cioè nello spazio posteriore della chiesa di Santa Maria Maggiore. Nelle stesse ore, si spalancheranno le porte della basilica di San Pietro per chiunque, a prescindere dal credo, «abbia a cuore la causa della pace nel mondo».

Appare, perciò, senza senso e blasfema la richiesta di schierarsi da una parte o dall’altra davanti alle migliaia di morti provocate dall’azione terroristica di Hamas e dalla reazione armata israeliana sulla popolazione palestinese di Gaza. Se c’è una parte da scegliere è quella delle vittime cercando di dare voce a chi prova a riannodare i fili della ragione per trovare una via di uscita da una spirale di violenza che appare senza vie di uscita. È ciò che emerso a Firenze con la risposta straordinaria di migliaia di persone, tra le quali il rabbino capo e l’iman della città, all’invito dell’abate di San Miniato al monte per una marcia silenziosa davanti «al fiume di sangue, in grande parte innocente, versato in questi giorni di ferocia».

Questa consapevolezza non può eludere dallo sguardo il problema dell’emergenza umanitaria relativa alla popolazione palestinese che risiede nella Striscia di Gaza. Sono 2,2 milioni di persone sottoposte ai bombardamenti dell’esercito israeliano che ha annunciato l’intenzione di  invadere il territorio sotto controllo di Hamas. Una prospettiva talmente preoccupante da aver spinto il presidente Usa, Joe Biden, a recarsi personalmente in Israele per confermare il sostegno economico e militare al governo di Netanyahu ma anche per invitare l’alleato israeliano a non ripetere gli errori commessi da Washington nell’invasione dell’Afghanistan nel 2001e dell’Iraq nel 2003.

La richiesta esplicita di un “cessate il fuoco” arriva invece dalle organizzazioni della società civile come esplicitato nella conferenza stampa promossa il 25 ottobre da Amnesty International e Aoi (Associazione organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale) per affermare le ragioni della manifestazione silenziosa del 27 ottobre a Roma. La tesi è riassumibile in questi termini: «I gruppi armati palestinesi di Hamas hanno commesso crimini di guerra e i responsabili devono essere assicurati alla giustizia, ma la punizione non può e non deve essere estesa collettivamente a tutti i civili di Gaza».

La triste contabilità dei morti registra 1402 uccisioni avvenute in Israele con il blitz inatteso del 7 ottobre mentre a Gaza si contano provvisoriamente già 5.791 decessi (tra cui 2.360 minori).

Amnesty fa notare, inoltre che, fuori dall’attenzione mediatica, anche «nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est, sarebbero stati uccisi almeno 95 palestinesi e 1.738 persone sarebbero state ferite da forze israeliane e coloni».

Non è la prima volta che Amnesty International, Human Rights Watch e l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem hanno accusato il governo israeliano di aver imposto un regime di apartheid nei confronti dei palestinesi. Secondo tali associazioni l’ordine di evacuazione della parte nord e centrale della Striscia e di Gaza City, verso sud, comprese le persone ricoverate nel 24 ospedali di quell’area, costituirebbe «una violazione del diritto internazionale umanitario».

Le organizzazioni per i diritti umani hanno formulato diverse richieste al governo italiano, tra cui quella esplicita di «esercitare pressioni sullo Stato d’Israele affinché ponga fine all’assedio totale della Striscia di Gaza, assicurando l’accesso a cibo, acqua, carburante, forniture mediche, elettricità e aiuti umanitari per tutta la popolazione».

Durante la conferenza stampa, è intervenuto anche Maurizio Simoncelli, vice presidente di Iriad, per denunciare il flusso di armi costante verso il Medio Oriente anche da parte dell’Italia. E per questo motivo le associazioni chiedono al nostro Pase di «astenersi dal fornire armi a tutti gli attori del conflitto e di chiedere agli altri Stati di fare altrettanto».

Tali istanze della società civile sono state avanzate mentre sullo scenario internazionale si è registrato lo scontro tra il governo israeliano e il segretario generale dell’Onu Guterres che condannando apertamente gli orrendi crimini perpetrati contro la popolazione israeliana ha anche invitato a prendere coscienza che gli attacchi di Hamas non nascono dal vuoto ma dal fatto che «il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocamento».

Il clima di  forte tensione è registrato anche da chi come Marco Minniti dirige la Fondazione promossa dalla società Leonardo per la promozione della presenza industriale nel Medio Oriente allargato. Secondo l’ex ministro degli Interni, intervistato da Carlo Bonini per Repubblica, «ci troviamo in una condizione che non ha precedenti. Simile a quella che, nel Novecento, portò ai due conflitti mondiali. Per giunta con una drammatica variante: la disponibilità di arsenali nucleari». Anche per Minniti «il diritto di Israele di rispondere militarmente non può e non deve trasformarsi in vendetta sulla popolazione palestinese. Più la crisi è acuta, più è necessaria una capacità di ascolto reciproco».

«Mai come adesso il mondo può andare in pezzi» secondo il presidente di Med -Or che invita a prendere nota della posizione «dell’Algeria che ha espresso solidarietà ad Hamas, che lo stesso ha fatto la Tunisia e il presidente dell’Unione africana» e, recentemente, possiamo aggiungere anche la Turchia. È perciò urgente, a parere di Minniti, «che l’Europa affermi una visione autonoma nei confronti del Mediterraneo e del Vicino Oriente».

Per dire e fare cosa? Un vero dibattito pubblico potrebbe partire dalle istanze promosse da Amnesty e altri sulla necessità di fermare l’ecatombe annunciata a Gaza e di riconsiderare le scelte strategiche di armare i Paesi in guerra.

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