In scena
Il gabbiano di Carmelo Rifici a Milano
Il testo di Cechov è un classico di feroce e leggera attualità, su un’umanità irrisolta, sulla società dello spettacolo, sulla ricchezza e sulla banalità della condizione intellettuale.“Gabbiano”è un testo misterioso– scrive il regista –: ci mostra un’umanità, una famiglia che non riesce mai ad essere sincera e che, per riuscire a convivere, deve continuamente mentire e immaginarsi di essere qualcosa che non è. Nel momento però che una cosa è immaginata, non diventa comunque vera? Quitutti si rappresentano, anzi sono tutti ossessionati dalla rappresentazione. Si impegnano a vivere una vita che non è la loro e tentano di eternarla, di renderla un presente continuo.I personaggi recitano su un palcoscenico che si specchia in un lago che mostra a sua volta la loro misera umanità e l’incapacità di volare in alto. Il lago li attrae verso il basso.“Gabbiano”, di Anton Cechov, adattamentoe regia Carmelo Rifici, scene MargheritaPalli, costumi Margherita Baldoni, musiche Zeno Gabaglio, luci Jean Luc Chammonat, con Giovanni Crippa, Ruggero Dondi, Zeno Gabaglio, Mariangela Granelli,Igor Horvat, Emiliano Masala, Maria Pilar Pérez Aspa,Fausto Russo Alesi, Giorgia Senesi e Anahì Traversi. A Milano, Piccolo Teatro, Teatro Studio Melato, dal 12 al 24/1 del “Gabbiano”di Anton Čechov, coproduzione LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro e Teatro Sociale di Bellinzona.
A Palermo dittico di Salvo Licata
Un dittico di opere teatrali nate dall’estro poetico del giornalista, autore e animatore di teatro palermitano, che negli anni ’60 fu tra i fondatori del gruppo di cabaret politico “I Travaglini”. “La Fame” è una farsa esilarante che ha per protagonisti Ciociò e Prurè, artisti improvvisati che escogitano vari espedienti per assicurarsi la sopravvivenza quotidiana. «Il confronto tra i due – spiega il regista – si risolve in un naturale sposalizio, generato dai loro stessi parossismi, raggiungendo vertici comico-drammatici». “La Peste”, scritta in forma di oratorio che fonde il vernacolo all’italiano e al latino, è per il regista: «la materializzazione di un mondo onirico, nel quale i personaggi, gli stessi de La Fame, si trovano persi in un vuoto indecifrabile, dove per attestare la propria identità intrattengono aridi rapporti di puro formalismo, che sfociano alle volte in una tirannia dialettica».“La Fame/La Peste”, dittico di Salvo Licata, regia Luca D’Angelo, con Stefania Blandeburgo, Gino Carista, Costanza Licata, Salvo Piparo, Mario Pupella. scene Rudy Laurinavicius, costumi Luca D’Angelo, luci Davide Riili, musiche Costanza Licata eseguite al pianoforte da Irene Maria Salerno. A Palermo, Teatro Biondo, Sala Strehler, dal 13 al 17/1. Produzione Teatro Biondo.
Aspettando Godot secondo Scaparro
Scritto da Beckett tra la fine del 1948 e l’inizio del ’49, En attendant Godot, nelle parole di Jean Anouilh “un capolavoro che provocherà disperazione negli uomini in generale e in quelli di teatro in particolare”, fu considerato da molti una provocazione, un trucco, prima di essere universalmente accettato come opera d’eccezione. I due vagabondi protagonisti dell’opera, Vladimiro/Didi e Estragone/Gogo, sono diventati l’emblema della condizione dell’uomo del Novecento, essere in eterna attesa, vagante verso la morte, punto minuscolo nella vastità di un cosmo ostile, segnato fin dalla nascita. “Sento la responsabilità, il peso e l'emozione di mettere in scena per la prima volta un testo di Samuel Beckett”,scrive Scaparro nelle note di regia. Questo testo, che rileggo oggi, mi colpisce anzitutto per le sue radici collegate alla millenaria e senza confini Cultura Europea, che noi stiamo colpevolmente dimenticando. Beckett è certamente tra i primi nel Novecento a intuire che, nel mondo attuale, lo spazio per la tragedia si è fatto minimo, entra di nascosto, quasi sotto il velo del gioco, usa toni leggeri e punta talvolta anche al riso. ”Aspettando Godot” di Samuel Beckett, regia di Maurizio Scaparro, con Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo, Enrico Bonavera. Produzione Teatro Carcano di Milano. A Roma, Teatro Parioli Peppino de Filippo, dal 14 al 24/1.
La danza di Barbablù a Genova
La nuova creazione di DEOS, Danse Ensemble Opera Studio, compagnia di danza contemporanea diretta da Giovanni Di Cicco e residente presso la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova, si ispira all’unica opera lirica di Bartók, “Il castello del duca Barbablù” scritta nel 1911. La sfida coreografica è quella di rispettare la complessa partitura musicale e l’intima costruzione drammatica dell’opera traducendo liberamente l’oscuro percorso interiore del protagonista. Sette danzatrici occupano la scena insieme allo stesso coreografo che impersona Barbablù. Sono le donne del passato e la donna del presente, la fresca sposa Judit, che come nella favola originale inizierà ad aprire ad una ad una le famose porte: le stanze del castello che rispecchiano la geografia inconscia di Barbablù.“Blaubart Blue”, musiche Bèla Bartok, coreografia Giovanni Di Cicco. produzione DEOS Danse Ensemble Opera Studio. A Genova, Teatro dell’Archivolto, dal 14 al 16/1.
Suono e danza in Real Good Time
L’ultima creazione della compagnia fiorentina Kinkaleri,si propone come una pratica coreografica in cui «una griglia rigida di traduzione tra alfabeto e gesto spalanca un immenso luogo stratificato di libertà individuale»: Jacopo Jenna e Marco Mazzoni interagiscono con un sonoro direttamente prodotto dalla scena, captato da sensori e manipolato dal vivo da Francesco Casciaro di Tempo Reale (il Centro di ricerca, produzione e didattica musicale fiorentino fondato da Luciano Berio nel 1987).La performance esplora nuove possibilità per sviluppare su due piani, indissolubilmente connessi come il suono e la coreografia, la forma canzone di un testo come quello di Real Good Time Together di Lou Reed.“Real Good Time”A Prato, SpazioK,Via Santa Chiara 38/2, il 16 e 17/1.