In prigione per colpa del “gruppo”

Non hanno particolari problemi familiari né economici, molti dei giovani adulti, dai 18 ai 25 anni, che finiscono in una cella nel nostro Paese. A farli deviare, sempre più spesso, sono le amicizie sbagliate... Da una ricerca del Censis

«In Italia si parla di giustizia soprattutto per le sue magagne (sovraffollamente delle carceri, tempi e lungaggini dei processi…) ed in particolare ci si riferisce a quella degli adulti. Quasi mai vengono messe in luce le cose che vanno bene, fra le quali spicca il settore minorile, che rappresenta un'eccellenza del sistema italiano». Queste le parole di Carla Collicelli, vice direttrice del Censis (Centro studi investimenti sociali), ad introduzione del volume "Giustizia minorile e giovani adulti", pubblicato per la collana "I Numeri pensati".

Una ricerca interessante da cui emerge anche un dato particolarmente preoccupante: la tolleranza da parte dei giovani adulti nei confronti dei comportamenti incivili o illeciti di amici e conoscenti, il che dimostra «una sciatteria per le regole della convivenza collettiva, frutto di una generalizzata perdita di valori», commmenta Collicelli. Generalmente le persone prese in esame considerano comprensibile ubriacarsi ogni tanto e viaggiare nei mezzi pubblici senza biglietto. Per 4 su 10 è normale fumare spinelli e 2 ragazzi su 10 giustificano i piccoli furti. Insomma, nella maggior parte dei casi è il gruppo di amici, a cui non si riesce a rinunciare, che costituisce la forza deviante.

Ma chi sono i giovani adulti?
Al confine fra il settore minorile e il settore proprio degli adulti c'è una fascia d'età intermedia chiamata appunto dei "giovani adulti", cioè di quelli di età compresa fra i 18 e i 21 anni. «Per la giustizia minorile il giovane adulto è una persona che commette il reato prima dei 18 anni e la cui pena permane anche dopo i 21. In un circuito esterno al penitenziario, si può rimanere nella categoria anche fino al 25esimo anno d'età», precisa Isabella Mastropasqua, direttrice dell'Ufficio IV del dipartimento di Giustizia minorile. Il dato che emerge fortemente dalla ricerca del Censis è l'aumento del numero dei giovani adulti nelle carceri italiane nel periodo 2008-2010 (31,4 per cento in più rispetto al periodo precedente).
I giovani adulti nel 2010 erano 5.039 con una netta prevalenza (il 75 per cento) di maschi italiani («dato che fa riflettere sul pregiudizio comune dell'immigrato-delinquente», sottolinea Collicelli) per reati contro il patrimonio. Due le cause dell'incremento: i tempi e le procedure lente della giustizia e il fatto che negli ultimi anni la Giustizia minorile depenalizza il primo reato (se non di elevata gravità) partendo, per il comminamento della pena, dal secondo reato compiuto (una specie di "seconda possibilità" che quindi ritarda l'entrata del giovane nel circuito penale).

Il sistema di giustizia minorile
Nel 2010 il 17 per cento dei giovani adulti era affidato alle comunità, solo il 14,4 per cento agli istituti penali per i minori e ben il 68 per cento in "messa alla prova", istituto principe e fiore all'occhiello del sistema giudizionario per i minori. Questo metodo, mirato e personalizzato sul profilo psicologico del giovane, è basato sulla "responsabilizzazione" del ragazzo e sul coinvolgimento di tutti i suoi contesti di vita (famiglia, scuola, ambiente di lavoro ecc.). La messa alla prova ha ben dimostrato la sua efficacia: l'81 per cento dei casi infatti si conclude con una sentenza di estinzione del reato, a cui segue un tasso di recidiva bassissimo. Al di là dei numeri che si susseguono nella ricerca, emergono anche i profili di questi "giovani adulti" e i risultati sono inaspettati. Al bando, infatti, i pregiudizi che fanno pensare a giovani con famiglie problematiche, sempre vittime di violenze, con un'assenza di comunicazione dei valori e una scuola incompetente. Tutti i ragazzi esaminati, infatti, considerano la madre affettuosa e presente nei momenti di bisogno. La figura del padre per sette ragazzi su dieci è comprensiva e affettuosa. Lo stesso dialogo in famigia, soprattutto con la madre, è esperienza testimoniata da tutti. Per quanto riguarda i giudizi sugli insegnanti, 9 ragazzi su 10 li considerano competenti sul piano didattico e 8 su 10 li indicano capaci di dialogare con loro anche su argomenti che esulano da quelli scolastici. Tutti dati naturalmente da leggere alla luce del ripensamento della propria esperienza al momento dell'intervista.

La ricerca quindi apre nuove riflessioni e fa prospettare diverse soluzioni, come una personalizzazione sempre più mirata dei provvedimenti in favore della rieducazione dei giovani adulti, una maggiore attenzione al reinserimento nel contesto lavorativo, una riduzione dei tempi tecnici processuali ecc. «Ma tutte queste cose devono essere basate su un principio – sottolinea Renanto Frisanco, resposabile studi e ricerche della fondazione Roma Terzo settore –, quello della "condivisione generativa": lavorare insieme – la famiglia, le risorse della comunità lavoro, la rete amicale, le associazioni di volontariato, le istituzioni – affinché il giovane provi appieno l'esperienza del positivo ed acquisisca dei modelli e delle esperienze su cui rifondare la propria vita».

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