In pensione con

Un'insegnante sarda con idee "geniali" e i suoi colleghi difficili.
In pensione con

Di solito, quando una persona va in pensione, i colleghi di lavoro le offrono un regalo come ricordo degli anni trascorsi insieme. Nel mio caso, Carmen si era presa la briga di organizzare la cosa, contattando gli altri colleghi a questo scopo.

Grande il mio imbarazzo: essendo in tre ad andare in pensione, diventava un vero salasso per gli altri provvedere ad altrettanti regali; ma soprattutto da qualche anno a scuola si respirava un’aria tesissima a motivo delle fazioni createsi all’interno del corpo docente: fazioni pro e contro la dirigenza.

Conoscendo le potenzialità professionali degli uni e dell’altra, non mi ero mai voluta schierare: avevo disapprovato gli scontri verbali, gli scritti anonimi contenenti insulti, le vignette indecenti nei confronti di certi colleghi e della dirigente; avevo cercato piuttosto di evidenziare il positivo presente in ciascuno, cercando continuamente il dialogo. Col risultato tuttavia di venire giudicata e automaticamente inserita ora nell’una ora nell’altra fazione. Figurarsi parlare di regalo!

Invece, ecco Carmen riferirmi che i colleghi erano ben contenti di aderire: «Si vede che ti vogliono proprio bene!», commentò, quasi incredula. Fu allora che, ricordandomi di Sophia, l’università dei Focolari, mi venne un’idea: perché non proporre ai colleghi di destinare la cifra raccolta per il mio regalo alla nascente università?

Chiesto il parere di Carmen, la vidi perplessa, ma da un’indagine successiva risultò che i colleghi erano d’accordo di destinare almeno parte di quei soldi al progetto a cui tenevo tanto.

A questo punto Carmen si recò da un gioielliere a scegliere i regali per le colleghe: due collane di perle e una crocetta per me. «Perché questa differenza?», le chiese la signora della gioielleria. E saputo del mio progetto, favorevolmente colpita, presentò a Carmen per me una croce bellissima, di valore molto superiore alla cifra disponibile.

 

La festa per il saluto era organizzata in un suggestivo locale sul colle San Michele, a Cagliari. Alla serata, animata dal complesso musicale dove cantano i miei figli, Emanuele e Carla, erano presenti quasi tutti i colleghi. Anche quelli delle due fazioni sembravano finalmente a loro agio insieme.

Passando fra i tavoli, distribuii loro un dépliant sull’istituto universitario Sophia, accompagnato da una lettera personale nella quale, dopo aver ricordato con gratitudine i momenti positivi vissuti con loro, continuavo dicendo: «Ora che questa avventura per me si conclude, mi piacerebbe continuarne un’altra attraverso il vostro dono, coinvolgendovi nella realizzazione di un progetto formativo nuovo e unico, voluto da Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari di cui faccio parte da trent’anni. È aperto a tutti i ragazzi del pianeta, di qualsiasi lingua, religione e cultura. È proprio a loro che sarà destinato il nostro contributo che finanzierà le borse di studio per la loro partecipazione. Mi sembra così che possiamo ancora lavorare insieme… questa volta per formare uomini nuovi».

Dopo la lettura attenta da parte di ciascuno sia della lettera che del dépliant, quando la musica riprese, il clima era disteso. Diversi i colleghi che dichiararono di conoscere qualcosa del movimento; ma da uno in particolare venni “sequestrata” per ascoltare la sua esperienza. Premise di non essere credente e di non aver ricevuto nessun sacramento, ma che a diciassette anni aveva partecipato, a Roma, ad un congresso sulla famiglia organizzato dai Focolari che aveva lasciato in lui un segno indelebile. Era già l’una del mattino, gli altri colleghi ci interrompevano a ripetizione per salutarmi, ma lui ancora continuava a farmi le sue confidenze.
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