In pensione con il mutuo?

Il governo ha proposto alle parti sociali la misura dell’anticipazione finanziaria per lasciare il lavoro prima dei requisiti imposti dalla legge Fornero. L’Inps farà la trattenuta mensile da restituire a banche o assicurazioni in 20 anni. Per fine mese i dettagli della misura che sarà inserita nella prossima legge di stabilità
Tito Boeri

La legge Fornero sulle pensioni non si tocca. Il governo ha proposto nell’incontro con le parti sociali del 14 giugno, per un periodo sperimentale di 3 anni, una flessibilità in uscita pagata dallo stesso lavoratore tramite un prestito che dovrebbe ripagare in 20 anni. Si chiama Ape, anticipazione pensionistica, e assomiglia al prestito per le spese universitarie diffuso vigente negli Usa (Obama avrebbe pagato l’ultima rata prima di salire alla Casa Bianca), o molto più prosaicamente la cessione del Quinto che molti dipendenti già conoscono e cioè la stipula di un prestito garantito dalla ritenuta sulla busta paga. In questo caso la garanzia della trattenuta a favore delle banche che anticipano il prestito avverrebbe da parte dell’Inps.

 

La misura riguarderebbe la popolazione al lavoro nata dal 1951 al 1955 che non può andare ancora in pensione. Confindustria parla di una buona idea e già si possono fare congetture sulla porzione di quel prestito che potrebbe essere coperto da incentivi e scivoli previsti abitualmente dalle grandi aziende. A differenza degli universitari, 20 anni sembrano un periodo troppo lungo di programmazione di un prestito in caso di pensionamento anche se l’aspettativa di vita in Italia si aggira sugli 80 anni di età, con la novità, tuttavia, del picco di mortalità avvenuto nel 2015 e su cui i demografi ancora si interrogano.

 

Chi pagherà le rate rimaste inevase? Il presidente Boeri dice di attendere i dettagli del progetto che sarà esposto meglio il 23 e 28 giugno, mentre sembra del tutto tramontata ogni ipotesi di estendere la salvaguardia agli ultimi esodati rimasti ancora senza pensione e stipendio grazie alla riforma dei “professori”. Potrebbero essere esentati dal prestito i lavoratori “precoci” o le donne in relazione ai periodi di maternità, ma anche di questo caso sembra non esistere traccia nella proposta messa in campo dal governo.

 

Importante capire la vera entità degli interessi del  prestito (si parla dell’1 o 2%) e chi li pagherà davvero, mentre il tetto della ritenuta è fissata al 15% della pensione. Insomma si prende una somma da banche e assicurazioni per raggiungere il montante contributivo necessario per la pensione che sarà ridotta fino al 15% per 20 anni. Secondo i calcoli dell’Uil si tratta della decurtazione di una mensilità per ogni anno ma i segretari generali delle 3 sigle principali del sindacato non hanno abbandonato il tavolo e attendono di conoscere meglio i dettagli della proposta che entrerà a regime con la prossima legge di stabilità (è stata rifiutata la loro richiesta di far maturare la pensione con 62 anni di età o 41 di contributi).

 

Resta il fatto che l’ipotesi di andare in pensione chiedendo un prestito alla banca, così come esposto dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti assieme al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, si presta facilmente a ogni ricostruzione della realtà sociale come una sorta di “debitocrazia” verso un sistema finanziario destinato ad accompagnare l’esistenza fino alla fine dei giorni.

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