In partenza per Quito
Ormai ci siamo. Fra qualche ora la sveglia mi ricorderà che è ora di partire. Partenza da Milano, breve scalo a Madrid e poi diretti a Quito… Eh sì, proprio la città colpita dal terremoto. Questi ultimi giorni ho trascorso molto del mio tempo a spiegare agli amici, ai familiari e ai colleghi che non è una pazzia; che non è pericoloso; che, in fondo, se ci lasciano partire è tutto tranquillo.
In realtà, in fondo in fondo, un po’ di paura c’è. Chi non l’avrebbe. Eppure, prevale la gioia di riabbracciare fratelli e sorelle nell’altro capo del mondo; nel cuore la voglia di essere con loro in questo momento difficile; l’entusiasmo di poter raccontare che non sono soli. Più passano le ore, più avverto vero e attuale quel «Giovani di tutto il mondo unitevi», lanciato da Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, nel 1967. Allora come oggi: tensioni sociali e diseguaglianze. Ricordarlo fa vibrare le corde della mia anima, mi spinge ad alzarmi dalla comodità del divano, dalla sicurezza della mia intimità, per poter incontrare, capire, accogliere il fratello o la sorella che mi sono accanto.
Proprio quest’anno, la ventesima edizione della Settimana Mondo Unito approfondisce il tema dell’interculturalità. Quando me la presentarono la prima volta, rimasi affascinato. Un'occasione unica, nella quale (in tutto il mondo) si intensificano gli sforzi per mostrare, alle persone e alle istituzioni, che è possibile credere in un mondo unito; mostrare che ci sono persone che nel silenzio di tutti i giorni decidono di amare piuttosto che giudicare, cercano di accogliere piuttosto che emarginare. Insomma, provano a costruire ponti di fraternità!
Dopo Budapest (dove nel 2012 fu lanciato lo United World Project), si è fatto capolino a Gerusalemme, Nairobi e Mumbay, punti caldi del mondo, ma dai quali si è testimoniato che la fraternità universale è qualcosa di reale, tangibile, non un'utopia o il sogno di pochi! Quest’anno, destinazione Sud America. Mentre sto tornando a casa, la mente inizia a viaggiare e fantasticare. Inizio a chiedermi cosa succederà domani, chi incontrerò, cosa potrò fare per rendermi utile; poi, un trillo mi fa trasalire: è un messaggio whatsapp di chi è già arrivato lì da poche ore.
Mi guardo intorno, mi rendo conto che c’è una signora anziana che cerca posto e uno straniero che cerca informazioni (ma con scarso interesse da parte delle persone che gli stanno attorno). Mi alzo e faccio accomodare la signora; con un sorriso cerco lo sguardo dello straniero e cerco di rispondere alle sue domande. Parla poco italiano e mi accorgo che ha sbagliato strada. Cerco di fargli capire come fare per tornare a casa. Alla fine, scendendo, mi ricambia con un sorriso. È vero: domani sarò a Quito. Ma la fraternità inizia dai piccoli gesti, dai piccoli atti d’amore di tutti i giorni.