In my country

Un film interessante, ed anche emozionante, sul superamento dell’apartheid nel Sudafrica, un modo per celebrare il decimo anniversario dell’elezione di Nelson Mandela. È stato diretto da John Boorman che, avendo visitato quella nazione nel suo periodo più difficile, ha colto l’invito dei suoi amici sudafricani a presentare questa lezione, come lui la chiama, su come sia possibile rimarginare ferite sociali così gravi. Mandela, insieme all’arcivescovo Desmond Tutu, adottò una pratica tradizionale, chiamata Ubuntu, che, basandosi sulla convinzione sapiente che io esisto perché tu esisti, cioè sulla consapevolezza che ognuno ha bisogno dell’altro, induce alla riconciliazione. Fu così costituita una Commissione, davanti alla quale le vittime potevano rievocare con dignità le ingiustizie subite davanti ai persecutori; essa poteva concedere a loro l’amnistia, se svelavano tutte le responsabilità e spiegavano le motivazioni politiche. I confronti in aula venivano trasmessi via radio e tutti potevano seguire. Non si trattò di un’amnistia generalizzata e indiscriminata, ma di un confronto personale, che proponeva il perdono cristiano ed aveva un valore catartico collettivo. Oltre al forte messaggio, il film presenta anche un’ambientazione impeccabile, e si avvale della scelta indovinata dei due protagonisti, l’afroamericano Samuel L. Jackson e Juliette Binoche, una bianca sudafricana che vuole svelare tutte le responsabilità della propria razza. Il loro momentaneo innamoramento è stato aggiunto per rendere più accettabile il racconto e può avere il significato simbolico dell’attrazione inconscia, esistente tra due etnie diverse, che può facilitare la loro reciproca valorizzazione. Regia di John Boorman; con Juliette Binoche, Samuel L.Jackson.

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