In memoria di me
Ha l’andamento del trhiller, con voci e passi nel buio, atmosfere notturne, lunghi silenzi, ma non lo è. Piuttosto, lo si potrebbe definire storia di anime. Il giovane Andrea, che dalla vita ha avuto tutto, cerca un ideale per cui vivere, per diventare una persona. Entra in un noviziato, duro, quasi spietato nel cercare attraverso la solitudine e il silenzio la voce interiore che aiuti a dominare sé stessi e ad essere forti nell’annunziare il vangelo. Tutto scorre tra studio e preghiera. Non c’è, in alcuni, felicità. Fausto è irrequieto, cerca la propria personalità; Zanna è un ribelle che di notte entra in una stanza misteriosa. Andrea tutto osserva, interiorizza: è stimato dal padre superiore, incoraggiato nel suo cammino. Ma, col tempo, egli entra nel dubbio. Sarà questo il cristianesimo, questa legge anche dura che regola la propria vita e l’altrui? Fausto se ne è andato, Zanna medita pure lui l’uscita. Durante una notte Andrea si rende conto, accorgendosi che il personaggio misterioso che Zanna va a trovare è un infermo che poi muore – gli appare come un crocifisso vivo che gli si avvicina -, che egli in verità non sa amare. Questa scoperta lo sconvolge e grida, in una tenebra dell’anima, il suo dubbio, il suo non credere in nulla, la disperazione. È un lotta impari tra lui, che brancola nel buio, e qualcuno assente-presente che lo tormenta. Segue allora l’amico nella fuga.Ma prima ne ascolta la conversazione col padre superiore. E’ un momento di grande forza drammatica: al superiore che gli parla di un Dio debole nel Cristo che tutti lascia liberi, Zanna risponde con un lieve bacio sulla bocca del religioso. Un bacio che ricorda quello del Cristo all’Inquisitore nel racconto di Dostoevskij: nell’amore è tutto il vangelo. Egli poi scompare, seguito da Andrea che oscilla nelle decisione. Il finale vede Andrea che apre e chiude la porta della chiesa – segno di una scelta consapevole e serena – e Zanna felice, sul motivo della Missa Luba, camminare sullo sfondo della cupola di San Pietro. Film di reale problematicità, il lavoro di Costanzo è un’analisi molto personale sulla vocazione dell’uomo verso Dio e sul cammino di libertà interiore. Pur dicendo che crede di non credere, il regista è capace di indagini spirituali – in particolari sulla notte dell’anima – serrate e commoventi. Costanzo ha seguito con rigore la recitazione degli attori, così che non c’è un momento ripetitivo o inutile. La poetica fotografia degli ambienti del convento veneziano di san Giorgio Maggiore, insieme ad un commento musicale basato sul valzer (un inno alla vita di forte contrasto con la severità dei rapporti) e sui brani di Mahler, C?aikosvskij, Part commentano un’atmosfera fra buio e luminosità speranzosa. Certo, l’immagine che il regista delinea del mondo del noviziato gesuitico non è attuale, e forse troppo accentuata nel rigore, ma il film non ha un intento realistico o di conflitto istituzionevangelo: piuttosto è la lotta e il fascino di un cammino di libertà interiore, pagato dalla sofferenza. Sotto certi aspetti, lo si potrebbe definire un film su Gesù, il personaggio assente-presente sullo sfondo e sul rapporto con lui. Film perciò introspettivo, non facile, ma di indagine sincera sul percorso spirituale, destinato a far pensare. Regia di Saverio Costanzo; con Christo Jivkov, Filippo Timi, André Hennicke. UNA DOMANDA A SAVERIO COSTANZO Dopo Private, un film che parla di persone che si imprigionano da sé. Un tema delicato. Come hai fatto? Non lo so, me lo chiedo anch’io quando lo vedo. È un film su una lotta, fatto di silenzi e di sguardi. Certo, temevo di girare un soggetto che parla di gente che prende decisioni per sempre. Cosa difficile per me e la mia generazione. Ho voluto allora fare gli esercizi spirituali in un convento di gesuiti a Bologna. Ho dovuto fare una sorta di vuoto interiore: mi sono messo in discussione del tutto. Ma poi ho ricevuto luce e coraggio nell’affrontare questo tipo di film, che non è realistico, maspirituale. Ho convinto gli attori a fare pure essi gli esercizi. Ad un certo punto i loro volti sono diventati trasparenti. Credo che tutti abbiano vissuto un’esperienza profonda e utile per il film. Nel quale, un tema importante è quello del Cristo dentro ognuno di noi che si ha paura di scorgere. Il protagonista infatti, vedendolo, si accorge della propria incapacità di amare ed entra in crisi. Anche per questo spero aiuti il pubblico a riflettere.