In memoria di Ayrton
Dov’eri il 1 maggio 1994 quando è morto Senna? Io ad esempio non avevo neanche nove anni. Ricordo quella Williams numero “2” lanciata oltre i 300 Km/h contro il muretto della curva Tamburello e quel casco verde oro riverso sulla scocca. La bandiera rossa e l’elicottero in pista. Ricordo che il giorno prima, allora era un sabato, avevo visto morire un altro pilota. Uno degli ultimi: l’austriaco Roland Ratzenberger. Ricordo che il venerdì Rubens Barrichello era volato fuori pista alla curva Rivazza finendo a testa in giù. Illeso. Ricordo la Lotus di Pedro Lamy che al via del Gran premio centra la Benetton di J.J. Letho ferma sulla griglia di partenza con una gomma che schizza oltre le transenne travolgendo gli spettatori in tribuna. Ricordo la Minardi di Alboreto che perde una ruota pochi secondi dopo il pit-stop mandando all’ospedale in gravi condizioni un meccanico.
Imola ’94. La morte di Senna e l’11 settembre dell’automobilismo. Nulla più come prima. “Con Senna muore questa Formula 1”, titolava in modo profetico la Gazzetta dello Sport di Cannavò. Vent’anni dopo quel maledetto weekend, Imola si è ritrovata un po’ più vecchia, impomatata di ricordi e conquistata dai tifosi. Qualcuno Ayrton lo aveva visto vincere, certi lo conoscevano pure, altri non erano nemmeno nati. Tutti lì comunque. A sfiorare le sue macchine, i suoi caschi, le sue tute, quella fatidica curva che è stata modificata. C’è da chiedersi perché un popolo si è radunato da queste parti vent’anni dopo per il Gran premio dei ricordi e dei sentimenti. Oltre 20 mila persone solo il 1° maggio. Un evento, l’Ayrton Senna Tribute, che in quattro giorni ha riportato anche grazie alla potenza del web, migliaia di occhi da tutto il mondo indietro nel tempo.
Forse Senna era diverso. Gli altri a parlare dei tempi in pista, del sovrasterzo e dei pneumatici, lui a raccontare la sua vita, il suo intimo, ma non il suo privato. Ti spiegava cos’era per lui l’amore, ma non ti diceva se era fidanzato. «Un’assenza di banalità», secondo quelli che l’hanno seguito sulle piste di mezzo mondo. «La sua umanità si vedeva nel momento di trasmettere la gioia», ha aggiunto Dino Zoff, il portierone di Spagna ’82, oggi grande appassionato di motori. Senna ad Imola ogni anno era quello che alle 16 staccava e faceva perdere le sue tracce per andare a registrare piccole frasi da far ascoltare a un giovane tifoso italiano in coma profondo. Il 1° maggio c’era pure lui all’autodromo.
Un miracolo? Certo Ayrton non faceva mistero della sua fede in Dio, ma guai a parlare di un santo. Se poi di mezzo c’erano le corse, Alain Prost e il titolo iridato erano scintille che a volte innescavano fuochi. Fuochi come incidenti e polemiche viperine con la misericordia che andava in cantina.
Senna è e rimane il volto umano dell’umana imperfezione, l’ispirazione al miglioramento continuo. In questo sta la sua grandezza. Un mito incoronato dall’incontro prematuro con la morte. Senna ad Imola in quel 1° maggio ’94, dopo l’addio a Ratzenberger, era un uomo che aveva capito il vero valore della vita. I medici dell’ospedale di Bologna ritrovarono nelle tasche della sua tuta due bandiere. La prima era quella del Brasile, la seconda era quella dell’Austria.
Senna è soprattutto questo a detta di chi lo ha conosciuto. Uno che si spingeva sempre un po’ più in là di tutti gli altri.