In dialogo con Bauman

L'umanità smarrita è in cerca di una nuova identità. Cosa non ha funzionato? Quali sono le strategie per un futuro sostenibile? Alcune riflessioni del grande sociologo
Bauman

L’autobus della modernità è fatalmente giunto al capolinea, l’umanità si appresta ad abbandonare il veicolo. Il tragitto è stato lungo e per certi versi confortevole: la fiducia nella scienza e nella tecnologia, l’idea di uno Stato in grado di attuare riforme e l’economia capitalista avevano regalato il sogno di un viaggio senza fine. Ma fermata dopo fermata, non sono rimasti che posti in piedi. E scomoda, scontenta e sempre più disgregata, l’umanità è costretta ad interrogarsi: che cosa non ha funzionato?

È il nodo centrale dell’incontro Verso un nuovo umanesimo, tavola rotonda sul tema Un’umanità smarrita in cerca del suo futuro, organizzato da Greenaccord in collaborazione con l’università Lumsa di Roma. Tra i relatori Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco. «Il nostro stile di vita non è più sostenibile: stiamo già consumando il 50 per cento in più di quanto la terra possa offrire. Tra cinquant’anni avremo bisogno di cinque pianeti per soddisfare i nostri bisogni». L’umanità non sa a chi affidarsi e la domanda «cosa dobbiamo fare?», è subito seguita dalla più urgente «chi lo farà?».

L’analisi di Bauman è puntuale: «Il deficit di potere dello Stato nazione ha portato alla rinuncia di alcune funzioni trasferite ai mercati i quali, svincolati dalla fiducia degli elettori, puntano su strategie di consumo». Tra il vuoto di potere e le politiche individuali mirate alla conquista di vantaggi personali, si colloca la crisi della classe media: «Il precariato si è sostituito al proletariato, la mancanza di certezze per il futuro ha generato un senso di impotenza e l’idea che vi sia un controllo superiore e ineluttabile sulle nostre vite».

Nessun dubbio: i valori si sgretolano, le risorse scarseggiano, le disuguaglianze aumentano, il processo di autodistruzione è innescato e l’umanità esce a fare shopping. «Il mercato – spiega Bauman – crea desideri artificiali che non rispondono ai nostri bisogni più profondi. La felicità è sempre più confusa con la pratica dell’acquisto di beni, meccanismo che compromette la sostenibilità del nostro stile di vita».

L’umanità, in preda ad una crisi di speranza,  ha dimenticato le piccole felicità sostenibili: la gioia di un lavoro ben fatto, l’amore e l’amicizia che diamo e riceviamo, la stima dei nostri vicini, la condivisione della fiducia. «La solidarietà tende a trasformarsi in sospetto reciproco e competitività – continua Bauman –, mentre le strategie di successo individuali si sostituiscono a quelle della collettività».

In questo scenario escatologico è giusto porsi la domanda se l’umanesimo ha un futuro? O ancor meglio: il futuro ha un umanesimo? «Non esistono miracoli, bisogna costruire una strategia fondata sul dialogo aperto e informale. Informale poiché le regole della cooperazione devono nascere dal dialogo stesso; libero poiché non devono esistere ruoli stabiliti ma si deve essere pronti all’ascolto, maestri e allievi allo stesso tempo».

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