In dialogo con Anna Maria Ortese
Dopo alcuni anni di insegnamento a Napoli e a Sant’Anastasia, nel 1981 ebbi l’incarico definitivo a Procida, isola natia. Collaboravo già con Città Nuova dal 1978. Proprio a Procida, nel 1988, pensavo di incontrare la scrittrice Anna Maria Ortese per un’intervista. Infatti, le era stato assegnato il Premio “Procida – Isola di Arturo – Elsa Morante”. Ma la Ortese non si presentò, per cui mi limitai a scrivere la recensione al suo libro In sonno e in veglia (Edizioni Adelphi), a cui il Premio faceva riferimento, e gliela feci pervenire a Rapallo, dove lei viveva, insieme alla rivista.
Fu l’inizio di uno scambio epistolare intenso e comunicativo fin dalle prime lettere e, infine, di alcune significative telefonate. Poi, la notizia dalla stampa della sua scomparsa. Poteva fermarsi tutto a quella prima recensione? Che cosa mi aveva spinto ad osare di più? Leggendo le sue opere, sempre più comprendevo la profondità del suo pensiero, ma anche la diversità dalla mia esperienza: per formazione, per impegno sociale e per scelte politiche. Diversità che anziché frenarmi mi predispose a un avvicinamento sempre più forte, grazie a un’intensa esperienza che stavo vivendo da alcuni anni.
Il mio parroco, don Michele Ambrosino, nel 1967 aveva voluto che conoscessimo il Movimento dei Focolari, un’esperienza di rinnovamento evangelico nato a Trento durante la guerra per opera di una maestra trentina, Chiara Lubich, cattolica ma di padre socialista e col fratello partigiano e comunista redattore dell’Unità. Tre diverse fedi cementate dall’amore.
Coinvolto intimamente dall’esperienza, cominciai a viverne lo spirito con un gruppo di giovani con i quali mi impegnai a lavorare per il popolo Bangua in Camerun, che si stava estinguendo dovuto ad una grave malattia e alla mancanza di risorse economiche. Nasceva allora l’Operazione Africa, esperienza che ha dato in questi decenni i suoi importanti frutti nell’intero continente africano: un ospedale, centrali elettriche, strade, case, scuole, veri e propri villaggi in vari territori. Ero affascinato soprattutto dalle motivazioni ideali che sottostavano all’Operazione Africa: non saremmo stati colonizzatori sociali o religiosi di quei popoli, ma rispettosi della loro cultura senza alcun tentativo di proselitismo, in un dialogo fraterno con tutti gli uomini incamminati sulla via della pace, della giustizia e del riconoscimento dei diritti dell’uomo, di qualsiasi fede o convinzione.
Ho capito che solo nel dialogo con tutti avrei potuto dare un contributo alla costruzione di un mondo unito nella fraternità e nella pace. Fu questa la spinta interiore che mi permise di accostarmi sempre più alla Ortese, di cui sapevo la sua fede socialista, descritta nel romanzo Poveri e semplici che le era valso il Premio Strega nel 1967. Avevo altresì conosciuto aspetti dolorosi della sua vita in tutti i campi, e più leggevo i suoi libri, più ero affascinato dalla sua sensibilità e dalla sua ricerca interiore di un bene assoluto capace di sostenere la vita dell’intero universo.
Ricordo che in una delle prime lettere, di fronte alla sua richiesta esplicita di conoscere la mia vita e quella dell’isola, potei raccontargli l’esperienza che vivevo e che mi permetteva di aprirmi al dialogo con tanti. Continuai a leggere le sue opere e a recensirle sulla rivista, ed ebbi sempre la sua gratitudine.
Fu per me un momento di grande gioia quando, ad un convegno europeo promosso dal Movimento dei Focolari sul dialogo con persone di convinzioni diverse, religiose e non, potei donare questa esperienza straordinaria di comunione fraterna che vivevo con la Ortese. Quando lei scomparve nel 1998, tratteggiamo la sua figura su Città Nuova con un ampio articolo.
Nel 2005, poi, una telefonata dall’Archivio di Stato di Napoli. Era la dottoressa Rossana Spadaccini, responsabile del nascente Fondo Ortese in Archivio, madre di un mio studente alla Tito Livio di Napoli, dove avevo insegnato in quegli anni. Mi chiese come mai, tra le carte della Ortese, comparivano alcune mie foto. Raccontai allora alla Spadaccini del mio rapporto con Anna Maria Ortese. Ne seguì la mia donazione all’Archivio delle lettere della Ortese e dei miei scritti, e la mia testimonianza nel 2006 al primo convegno nazionale sulla Ortese promosso dall’Archivio. Quindi, anni dopo, la pubblicazione del libro Anna Maria Ortese e l’isola di Procida – Storia di un epistolario, per i tipi della casa editrice IOD, che riporta tutte le lettere e l’esperienza di quegli anni.