In crisi, ma non produciamo armi

Mentre Finmeccanica è orientata a sviluppare il settore militare dismettendo la produzione civile, a Pisa una piccola azienda in crisi rifiuta una commessa della fabbrica di siluri. Ce la farà?
Energie rinnovabili

Può un’azienda in crisi rifiutare una commessa per motivi etici? E che fine potrà mai fare in un contesto, come quello italiano, dove le cifre sulla disoccupazione crescente suonano come allarmanti bollettini di guerra?
 
Il caso concreto riguarda la Morellato Energia di Pisa, società di ingegneria specializzata nel settore delle fonti rinnovabili in una zona industriale segnata da una presenza strategicamente significativa della produzione e il commercio di armi di alta tecnologia. Non è tanto importante la singola fornitura, quindi, ma la possibilità di inserirsi nel vantaggioso indotto delle grandi aziende come la Wass, cioè Whitehead Alenia sistemi subacquei, che ha chiesto alla Morellato un sistema di raffreddamento per una vasca di 10 mila litri.
 
La Wass è una società che produce siluri e ha una storia antica che inizia nel 1875, a Fiume, sotto l’impero austroungarico. Oggi fa parte del gruppo Finmeccanica e ha la sede principale a Livorno, con oltre il 70 per cento dei prodotti esportati all’estero.
La decisione della piccola azienda è maturata, lo scorso luglio, non solo come scelta del giovane imprenditore, Valerio Morellato, ma ha passato il vaglio di un’assemblea dei lavoratori che già sentono il morso della crisi con il ricorso alla cassa integrazione a rotazione. Insomma si è trattato di un confronto scomodo ma condiviso, tuttavia, con la rete di economia solidale di Pisa (www.respisa.org): imprese, associazioni, cittadini e consumatori che hanno stretto liberamente un patto nel rispetto di alcuni valori fondamentali. Un nuovo modo di consumare e di produrre che non può includere la collaborazione con la produzione bellica.
 
Secondo Giorgio Beretta, ricercatore di “Rete disarmo”, la decisione dei lavoratori della Morellato «non è solo un’encomiabile scelta di natura etica, ma invita ad aprire un dibattito serio sulla cosiddetta “industria della Difesa” e sulla pervasività delle sue politiche industriali». Come osserva, infatti, ancora Beretta, «le esportazioni di armamenti verso i “Paesi alleati” della Nato e dell’Ue sono ormai marginali rispetto a quelle verso i Paesi emergenti, anche nelle zone di maggior tensione del pianeta (dal Nord Africa al Medio Oriente, dalla penisola araba al sub-continente indiano) governati da regimi autoritari e dispotici».
 
Per avere un’idea del livello di partecipazione e di integrazione tra le imprese si può ricordare il caso, oggetto di un’inchiesta del sito di informazione Unimondo, dei carri armati russi venduti alla Siria e dotati di un sistema di puntamento avanzato fornito dall’italiana Selex Galileo di Finmeccanica.
 
La piccola Morellato, 20 dipendenti alle prese con le mutevoli strategie governative sull’energia da fonti rinnovabili, rappresenta quindi un caso emblematico nel momento in cui un grande gruppo industriale italiano come Finmeccanica, ancora sotto controllo pubblico, sta maturando la scelta di cedere le attività del comparto civile per concentrarsi nel settore militare. Un orientamento che conferma l’indirizzo finora seguito da una dirigenza che si trova in un momento delicato per le inchieste della magistratura che coinvolgono la Selex Sistemi integrati, una delle sue maggiori società.
 
La conversione della produzione verso il settore degli armamenti sembra, perciò, offrire poco spazio a chi decide di non essere inserito e promosso in questa filiera, ma da Pisa arrivano altre notizie che parlano di nuove commesse e opportunità nate proprio da quella scelta resa pubblica. Le imprese vivono rischiando.

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