In cordata
Gianguido si sentiva un dio… Una comune amica mi aveva parlato di Gianguido: disperato, rifiutava di farsi curare. Per oltre tre anni, almeno una volta al mese ci sentivamo al telefono ed io lo invitavo nella mia città: Qui a Reggio Emilia abbiamo un reparto d’eccellenza, e poi ci sarò anch’io ad assisterti. Pur senza incontrarci, eravamo diventati amici e confidenti, grazie alla condivisione di alcuni suoi momenti tremendi. Ancora giovane, di professione muratore, da anni viveva e lavorava in Lombardia. L’estate scorsa il tracollo fisico: in poco più di un mese è passato da 65 a 47 chili circa… Pur sfinito, è andato prima a trovare i suoi in Sardegna ed è poi faticosamente ritornato in Lombardia. Finalmente, accompagnato da un fratello, è arrivato a Reggio. Immediato il ricovero. Giornate di grande sospensione, medici che non scioglievano le riserve. Il personale del Reparto Infettivi si è confermato proprio speciale in professionalità ed umanità, arrivando a lavargli anche la biancheria personale. Gianguido ha un carattere dolce e al tempo stesso forte, caparbio. Gli stavo vicino tenendogli la mano, asciugandogli il sudore, pregando in silenzio. E lui sorrideva sereno. Pian piano ha cominciato a parlare. Un giorno, accennando ad una persona a lui molto vicina, ha dichiarato: Non la perdonerò mai perché nel bisogno non mi ha aiutato . Noi non conosciamo il suo cuore, non possiamo giudicare. No, non riesco proprio ha ribadito Gianguido. Questo posso capirlo – ho osservato – perché il perdono è un dono di Dio, ma possiamo chiedere a lui la forza per farlo. Non pensi di avere bisogno anche tu di essere perdonato? . Sì, tanto è stata l’umile sua risposta. Guarda che il perdono dipende anche da ciascuno di noi. L’ha detto espressamente Gesù: nella misura in cui perdonerete sarete perdonati. Perciò se perdoni poco sarai perdonato poco, se perdoni molto sarai perdonato molto e se perdoni tutto ti sarà perdonato tutto. Scegli tu. Dopo circa mezz’ora di silenzio, quasi parlando tra sé: Ma io non riesco a perdonare me stesso… Francesco, vorrei confessarmi, mi trovi un prete?. Dopo la confessione: Francesco, non sto bene ma sono felice perché ho il perdono di Gesù. Giorni dopo, quasi inaspettatamente: Ma Dio è anche molto intelligente… . Certamente – gli ho confermato -, ma cosa te lo fa pensare?. Ascolta – ha continuato con convinzione -. Iniziavo la giornata facendo cinquanta flessioni ed altrettante ne facevo al ritorno dal lavoro solo per sentirmi in forma e stare bene. Nel lavoro ero stimato, competente, autonomo. Mi sentivo un dio. Guarda invece come mi sono ridotto: sono senza forze, non so neanche se ce la farò a vivere. Eppure Dio, amandomi così come sono, ha fregato il Diavolo, che probabilmente già convinto di avermi fra le sue grinfie si è distratto un attimo. In reparto continuava ad essere gentile con tutti, non si lamentava mai, anzi dovevo sollecitarlo io perché parlasse dei suoi problemi ai medici. Ha riscoperto la sua naturale capacità di esprimersi attraverso il disegno. Con le forze che aveva, impiegava anche diversi giorni a fare un quadro, poi lo regalava con affetto e riconoscenza. Quando dalla sua stanza sin- gola gli è stato proposto di trasferirsi in un’altra con una persona molto in difficoltà, il personale, conoscendo il suo carattere riservato e vedendo i progressi fatti nell’aprirsi agli altri, temeva che ritornasse ad isolarsi. L’ho preparato così: Gianguido, ora hai la possibilità di verificare la tua conversione, di amare: te la senti di andare con un altro che ora non sta bene? Potresti essergli di aiuto…. Ci vado subito, volentieri è stata la pronta risposta. Col nuovo compagno di camera è nata poi un’amicizia che ancora continua. Dopo cinquantanove giorni di degenza, Gianguido è ritornato in Sardegna dove ha fatto un’ottima convalescenza. È tornato in gran forma fisica (ha recuperato 15 chili) e spirituale. Ha potuto perciò riprendere il suo lavoro in Lombardia. Di un suo disegno dedicato al personale del reparto ho fatto fotocopia su un cartoncino e l’ho regalato a tutti: dal primario alle donne delle pulizie. E la vita, sì la Vita continua. Sebastiano detto il Lupo Sebastiano da vari anni ha scelto di vivere da barbone e si fa chiamare il Lupo. Dorme sotto la scalinata del Palazzetto dello Sport, vicino a casa mia. Scherzosamente diciamo che quello è il reparto notte, mentre la parte esterna è il reparto giorno. Quando vado a trovarlo lui mi mette a disposizione i suoi mobili: un cartone pulito è la poltrona che subito mi offre. Ci trattiamo con pari dignità: lui non fa osservazioni a me e neppure io mi permetto di insegnargli ciò che deve fare. Cerchiamo solo di incrementare la nostra amicizia con piccoli gesti ripetuti nel tempo. Un giorno, inaspettatamente, ha deciso di smettere di vivere da barbone. Per aiutarlo a rientrare nella società mi sono messo a sua disposizione. Il primo documento necessario era la carta d’identità. Ma all’anagrafe ormai non risultava più iscritto. II regolamento prescrive che si abbia una residenza. Lui non può chiedere l’assegnazione di una casa se non ha i documenti in regola, ma non gli danno la carta d’identità se non ha la residenza: è il cane che si morde la coda. A chi tra gli impiegati può aiutare i miei amici, di solito offro un disegno di Gianguido: rappresenta il Reparto Infettivi come tante persone in cordata per soccorrere un indigente stremato a terra. Vedete – commento io -, non c’è bisogno dell’eroe che salva da solo, ora siamo tutti in cordata per aiutare questa persona in difficoltà. Cercare di risolvere i problemi del Lupo ha richiesto undici giorni estenuanti. Lui era sfiduciato, voleva abbandonare l’impegno al reinserimento. Per di più attraversavo anch’io un periodo molto duro: in un mese due persone carissime erano andate in Cielo. Anch’io, che mi ero sempre visto tra coloro che nella cordata aiutano gli altri, mi sono trovato a dover essere sostenuto a mia volta. Superati finalmente i problemi burocratici (don Eugenio, un parroco proprio speciale, ha dato la disponibilità alla residenza), all’ufficio anagrafe gli impiegati ai quali avevo offerto il disegno di Gianguido si sono mobilitati con straordinaria generosità: in due giorni hanno risolto una pratica che normalmente ne richiede ventuno. Rinnovare il cartellino del codice fiscale è stato semplice; restava solo da richiedere il cartellino sanitario. Ovviamente c’era da andare insieme in altri uffici. Quando sono passato a prenderlo, inaspettatamente Sebastiano mi ha risposto: Non vengo, non ne ho bisogno perché sono sano…. Ma cosa dici? È un documento indispensabile . No, non vengo, ha ribadito cocciutamente. Mi è venuta una rabbia irrefrenabile, praticamente l’ho offeso e me ne sono andato via addolorato. Più tardi, ritrovata la calma, ho capito che io pretendevo di imporgli i miei ritmi, le mie valutazioni di opportunità. In realtà lui in breve tempo aveva fatto passi da gigante; ero io che dovevo sapermi fermare per ripartire insieme. E mi sono ricordato che quel giorno era il compleanno della sua ragazza. Lo sapevo perché avevo contribuito a prepararle un regalino. Forse Sebastiano temeva di arrivare tardi all’appuntamento con lei. Ad una cosa importante a lunga durata (il cartellino sanitario) lui aveva preferito una gioia immediata, forse breve ma attraente. Ma anch’io, quando pecco, non preferisco per miopia spirituale una piccola gioia immediata a quella vera ed eterna? Forse perché un po’ l’ho capito, il Lupo ed io siamo tornati amici e insieme andremo presto a richiedere il cartellino sanitario.