In cerca di un futuro di pace
Dopo le violenze di sabato nella capitale egiziana, pressante diventa il progetto di una convivenza pacifica tra musulmani e cristiani. La parola ai nostri corrispondenti
Agenti in tenuta antisommossa circondano oggi il quartiere di Imbaba, alla periferia del Cairo, dove sabato scorso 12 persone sono rimaste uccise negli scontri tra alcune centinaia di radicali salafiti e i copti. Motivo delle violenze, come confermato dal nostro corrispondente, sarebbe stata la notizia che una donna desiderosa di convertirsi all’Islam era tenuta rinchiusa nella Chiesa di San Mina. Storie simili non sono nuove: già da due anni, infatti, si parla delle mogli di due sacerdoti copti ortodossi che, volendo diventare musulmane per poter ottenere il divorzio, verrebbero tenute segregate in un monastero. Difficile verificare la fondatezza di queste informazioni: ma già alcune settimane fa oltre 2 mila salafiti hanno manifestato per chiederne la liberazione, e i fatti di sabato si collocano sulla stessa scia. Intanto, prosegue il nostro corrispondente, ogni anno decine di ragazze cristiane spariscono, specialmente dopo aver avuto relazioni con ragazzi musulmani. Alla luce di questi ultimi sviluppi, rivolgiamo alcune domande all’esperto Giuseppe Scattolin, islamologo che da più di 15 anni vive in Egitto.
Che futuro quindi ci sarà per il Medio Oriente, e per le comunità cristiane in esso?
«Il futuro, Dio solo lo sa. Una cosa è certa: se non si rimuovono le cause della violenza, questa continuerà a fare vittime. Il problema di fondo è quindi superare il fondamentalismo religioso, percepito anche da molti musulmani come il grande pericolo per le stesse società islamiche. Occorre operare una vera e propria trasformazione culturale che porti il mondo islamico a fare suoi alcuni valori fondamentali della modernità, in particolare la formazione di un pensiero critico, e il sostegno incondizionato ai diritti umani fondamentali. Tale trasformazione culturale deve essere fatta dall’interno dell’Islam, e non dall’esterno per imposizione. Essa deve aiutare l’Islam a coniugare in modo convinto religione e modernità.
Occorre inoltre trovare una soluzione ai conflitti locali, in particolare al problema palestinese, e anche alla profonda crisi economica che attanaglia queste società.
«In tale prospettiva anche le comunità cristiane potranno avere più spazio per svilupparsi in un contesto di Islam liberale. Queste comunità sono pure minacciate da vaste trasformazioni interne. C’è il grande fenomeno dell’emigrazione che priva le comunità orientali dei loro fedeli. D’altra parte si nota una "latinizzazione" dell’oriente cristiano, creata dalla crescente immigrazione da paesi di rito latino, sia africani che asiatici. Queste comunità si sentono quindi sotto una grande pressione. Molti temono che alla fine ci sarà un cambiamento radicale della popolazione cristiana nel Medio Oriente. I cristiani originali saranno sostituiti da cristiani di immigrazione? Sarà la fine dei riti orientali? A vantaggio di chi? Come ho detto, solo Dio sa il futuro. Noi cerchiamo di operare per il bene di tutti, cristiani e musulmani. E non c’è dubbio che un dialogo serio fra le parti in causa costituisca il mezzo migliore per superare i problemi di questi paesi».
I copti in Egitto sono circa otto milioni. Chi sono e quali difficoltà incontrano nel loro paese? Sono discriminati nella società? In che modo?
«I copti sono i cristiani egiziani, discendenti della prima comunità cristiana fondata secondo la tradizione da S. Marco, attorno all’anno 60 dC. Essi hanno sempre conosciuto una storia alterna di periodi pacifici e periodi turbolenti. Con la conquista araba del 640 dC sono passati sotto l’ordine islamico, che li ha fissati nello stato di "protetti" (dhimmi): essi stavano cioè sotto la protezione dello stato islamico, quindi non avevano l’obbligo della sua difesa. Però dovevano pagare una tassa personale, accettare una posizione subordinata nella società, molte volte obbligati ad un certo tipo di abbigliamento, ed altre forme di distinzione e discriminazione. Occorre ricordare che in contesto Medievale norme simili esistevano pure nelle società cristiane dell’Occidente riguardo a comunità non cristiane o non cattoliche. Tutta questa storia di discriminazione sociale ha creato nell’animo delle comunità copte un senso di assediamento, e quindi una reazione di autodifesa.
«I rapporti delle comunità islamica e cristiana hanno conosciuto vicende alterne, ma è rimasto comunque il ricordo generale di una convivenza fondalmentalmente pacifica. Nell’epoca moderna gli stati arabo-islamici del Medio Oriente hanno adottato molte misure liberali ispirate alle leggi europee, soprattutto al Codice napoleonico. Ma ci sono ancora campi di conflitto, come ad esempio la questione della costruzione di chiese, le leggi personali, ecc. Negli ultimi anni, con l’acuirsi della pressione fondamentalista, i cristiani si sentono sempre più emarginati e danneggiati: ade esempio, faticano a trovare lavoro o fare carriera.
«Il vero problema consiste quindi nel realizzare un profondo cambiamento culturale, che porti ad un vero stato di diritto uguale per tutti. Le idee di liberta e democrazia devono essere radicate nella cultura arabo-islamica affinché siano sentite come proprie e non estranee. Questo progetto è avversato in particolare dai movimenti estremisti islamici, che in realtà sono contro tutti coloro che, cristiani e musulmani, non la pensano come loro.
Come ho detto, credo che sarà proprio nel superamento di tale fondamentalismo che si giocherà il futuro del Medio Oriente, e al largo di tutti i Paesi islamici o con grandi comunità islamiche. È qui che credo sia necessaria una seria azione di cooperazione e sviluppo a livello di Chiesa e di società occidentali. E questo non più in un clima di colonizzazione e di sopraffazione, come nel passato, ma di dialogo e scambio a tutti i livelli. Questo impegno dovrebbe costituire una priorità per tutti, soprattutto per le comunità e i movimenti ecclesiali. Questa è la mia speranza e il mio impegno, che spero sia condiviso da molti».