In cerca del bene comune

Ah, le previsioni. Ad incominciare da quelle meteorologiche. Che facevano rabbrividire: pioggia e freddo polare avrebbero abbondato durante lo svolgimento della Settimana sociale, tenutasi dal 18 al 21 ottobre. Invece su Pistoia e Pisa ha dominato il bel tempo, con due gocce, il primo giorno, e un abbassamento della temperatura, l’ultimo. Si paventava pure una contromanifestazione degli anticlericali. Poter dire in faccia ai mille delegati venuti da tutt’Italia quanto fossero oscurantisti era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Ma i manifestanti erano uno gruppetto, in testa goliardiche mitre di carta, fermi all’inizio della via che porta alla cattedrale di Pistoia. Rilassate e inoperose le forze dell’ordine. Ben altro accadde nella stessa città cent’anni addietro, nel primo appuntamento delle Settimane. Massoni ed anarchici – riferirono le cronache – presero di mira i 500 delegati con fischi e frasi ingiuriose; il giorno successivo passarono ad una sassaiola e completarono l’opera di accoglienza imponendo ai negozianti di chiudere i loro esercizi e di esporre il cartello Chiuso per sciopero anticlericale. Oggi gli oppositori hanno un tratto più signorile e strumenti potenti: basta confinare l’avvenimento in uno spazio angusto sui mezzi di comunicazione. Eppure, le Settimane sociali, ideate sulla spinta propulsiva della prima enciclica sociale, la Rerum novarum del 1891, hanno contribuito alla costruzione della storia civile del nostro Paese, rivelando il prezioso apporto dato dall’opera e dal pensiero dei cattolici italiani. È opportuno – indicava lo storico Andrea Riccardi nella relazione introduttiva – prendere coscienza di quanto storia spirituale, sociale, politica e storia della carità attraversino generazioni e luoghi del Paese, e ne abbiamo modellato la geografia e l’identità, con la consapevolezza che i cattolici non sono da soli l’Italia, né hanno il monopolio del futuro: tutt’altro, ma rappresentano una risorsa importante per tutti e per pensare l’avvenire. Felice intuizione Pensare. Pratica sempre più estemporanea nell’Italia odierna, lasciata a ristretti gruppi di cultori. Resta perciò ancora felice l’intuizione dell’economista Giuseppe Toniolo (in corso la causa di beatificazione), ideatore delle Settimane sociali, iniziate nel solco di quelle francesi (1904) e spagnole (1906), ovvero riflettere insieme, alla luce del Vangelo, tra cittadini con responsabilità diverse ed esperti di varie discipline, con lo scopo di servire il Paese. Di attivare la materia cerebrale, oggi, c’è una estrema necessità. Ma c’è ancora più bisogno di menti libere, che non subordinino il loro pensiero agli interessi corporativi o localistici. Per di più, in questa stagione contrassegnata dall’individualismo categorico, dalle minoranze dominanti, dai particolarismi pronti al ricatto, il consesso di persone che riempiva il centro congressi dell’università di Pisa ha rappresentato una formidabile nota di speranza. In controtendenza rispetto a quanto gli odierni dibattiti culturali ci hanno abituati, il tema affrontato è stato il bene comune oggi. Quell’oggi nel titolo denuncia l’attuale confusione sui principi. Il significato autentico del bene comune è andato perdendosi a tal punto che ognuno lo tira dalla propria parte per farlo coincidere con ciò che sembra a lui più conveniente. Comune, totale o collettivo? A far chiarezza ha provveduto l’economista Stefano Zamagni. Ripercorrendo la storia degli ultimi secoli, ha riferito come l’espressione bene comune sia stata sostituita da quella di bene totale di matrice liberale (somma dei beni individuali), e da quella di stampo socialista di bene collettivo (che non tutela quello personale). L’aver perso la prospettiva del bene comune – ha sostenuto Zamagni – è la ragione della crisi di sviluppo e della mancata innovazione economica e sociale. Se il bene comune è allora il bene di tutti e di ciascuno, l’economista Luigino Bruni ha tratto chiare conseguenze: deve includere sia gli esclusi (tutte le povertà, ma anche adottando stili di vita improntati alla sobrietà), sia le future generazioni (gravate dal rischio ambientale e dal debito pubblico). Insomma, il Paese non funziona e non cammina se non si riscopre tutto il portato del bene comune. C’è chi ha parlato di un nuovo rilancio di questo concetto. Indubbiamente, sotto la Torre pendente ha ritrovato centralità. E lo sforzo corale è stato quello di provare a coniugare tale prospettiva con il mercato e con la società civile, con lo Stato e con la complessa biopolitica, con l’emergenza educativa e con il faticoso cammino europeo, attraverso la pluralità delle relazioni (disponibili su www.settimanesociali. it) e la ricchezza degli interventi dei delegati, una trentina in ogni sessione. Nel dibattito hanno trovato diritto di cittadinanza termini inconsueti come fraternità e reciprocità, considerati oramai, pur nella varietà delle interpretazioni, categorie economiche, sociali e politiche. Non si può infatti operare compiutamente per il bene comune se non è chiara l’idea di persona (la cosiddetta visione antropologica) quale essere- in-relazione, per cui la società va subordinata alla persona e non viceversa. Obbiettivo esigente, quello del bene comune. Richiede, secondo il presidente della Cei, mons. Bagnasco, fresco di nomina cardinalizia, due condizioni fondamentali: essere cordialmente aperti al bene di tutti e di ciascuno a prezzo di interessi individuali o particolari, a prezzo del proprio personale sacrificio e ricuperare le virtù cardinali della fortezza, della giustizia, della prudenza e della temperanza, con le attitudini interiori che ne conseguono. Il dialogo come stile Ah, le previsioni. Secondo quelle più fosche, la Settimana sociale in terra toscana avrebbe dovuto trasformarsi in terreno di conflittualità tra le diverse anime del mondo cattolico italiano, dopo che il convegno ecclesiale di Verona, svoltosi un anno fa, aveva lasciato trasparire sul tema della cittadinanza una varietà di orizzonti non facilmente riconducibili ad una visione convergente. Ben altro è successo. Le relazioni presentate costituiscono un prezioso patrimonio da rilanciare e valorizzare nelle comunità locali. La riflessione collegiale ha fornito spunti ed indicazioni da tradurre in approfondimenti ed iniziative. Certo, non sono state partorite proposte risolutive per i grandi problemi dell’Italia, ma nessuno naturalmente si aspettava tanto. Sono, comunque, emersi con evidenza alcuni elementi di accresciuta maturità sia ecclesiale, che culturale. Il Paese non potrà che beneficiarne. Innanzi tutto, il dialogo, come stile e come paradigma. Ad un sacerdote di Pax Christi, sostenitore del disarmo, è seguito, nel dibattito, un cappellano militare che ha riferito della sua missione tra i militari. L’uno e l’altro nel pieno rispetto reciproco. Il prof. Francesco D’Agostino, esperto di bioetica (su certi punti non si negozia) e lo storico delle dottrine politiche Giorgio Campanini (l’intransigenza è controproducente) si sono confrontati cordialmente. I parlamentari presenti, soprattutto della Margherita e dell’Udc, sono intervenuti su vari temi, manifestando frequenti sintonie e profonda attenzione alle argomentazioni dei colleghi. Si è assistito ad un laboratorio di dialogo, senza parole a vanvera e toni polemici, dove la capacità d’ascolto e la considerazione dell’altro sono stati determinanti. Vi ha contribuito pure la scelta dei relatori, chiamati in base alla loro competenza, ma anche alla loro rappresentatività delle varie sensibilità presenti nel mondo cattolici. Un apporto ulteriore sarebbe sicuramente venuto da un confronto tra queste sensibilità, come emerse a Bologna, nella Settimana di tre anni fa, in una significativa tavola rotonda tra movimenti e associazioni. Complesso indivisibile di valori Un secondo fattore emerso è l’esigenza di superare, nella prospettiva del bene comune, la contrapposizione tra valori considerati di pertinenza dei cattolici di centro- destra (vita, famiglia, sicurezza, sussidiarietà) e quelli appannaggio dei cattolici di centro-sinistra (equità sociale, solidarietà, pace, intervento pubblico). Il bipolarismo ne ha accentuato le distanze e i rispettivi profili, ma cresce l’urgenza – vista la rapidità dei mutamenti – di maturare una consapevolezza aperta verso tutti quei valori nel loro complesso (presenti nella Dottrina sociale della Chiesa) in modo che ciascuno di loro debba risultare complementare e indispensabile agli altri. Altra evidenza. Nella complessità della società post-moderna, dove alto resta il rischio di smarrimento, d’impotenza e di marginalità, i delegati hanno riferito a più riprese di una logica, di un metodo e di una prassi, quella di mettersi in rete tra ambiti e di creare connessioni tra iniziative. Né contro lo Stato, né contro il mercato: entrambi devono funzionare al meglio, ma a crescere è chiamata la società civile, quale terzo soggetto, portatore di tutta una serie di istanze e di potenzialità. Una delle consegne di questa Settimana sociale è far nascere luoghi d’incontro e di riflessione per favorire la formazione alla cittadinanza e all’impegno nel sociale e nel politico, ma che fungano anche da punto di riferimento per i cattolici presenti nei partiti e nelle istituzioni. Le previsioni pessimistiche sono state sconfessate, il lavoro per il bene comune prosegue ora con maggiore responsabilità.

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