In Catalogna meno voglia di indipendenza

Perde voti il partito del presidente Artur Mas che aveva fatto dell'indipendentismo il perno della sua campagna elettorale. Dal nostro corrispondente
Catalogna manifestazione

È sfumato il desiderio di indipendenza della Catalogna? Pare di no. Infatti i risultati delle elezioni del 25 novembre daranno vita al Parlamento più nazionalista degli ultimi 32 anni.

La tornata elettorale è stata preceduta da un dibattito nella Camera catalana sull’opportunità o meno di proporre in un futuro prossimo una consultazione (quindi un referendum) sulla sovranità del popolo catalano. Una consultazione che, naturalmente, non ha l’appoggio del governo centrale. A favore si sono espressi 87 deputati, per la maggior parte nazionalisti o indipendentisti, contro 21, mentre 27 socialisti si sono astenuti.

Nella composizione del prossimo Parlamento, pur essendoci delle grosse variazioni sul numero dei seggi ottenuti da ogni partito, ci saranno poche differenze sulla votazione precedente: 87 voti a favore, 28 contro e 20 astensioni. Nella pratica non cambia molto, aumentano di poco i contrari. Ci vogliono, però, due terzi (90 voti) per cambiare lo Statuto che regge la vita politica catalana.

La stampa, sia nazionale che internazionale, concorda nell’affermare che la decisione di Artur Mas, attuale presidente del governo catalano, di anticipare le elezioni non è stata proprio una grande trovata. Per tanti analisti, infatti, la sua campagna elettorale, che aveva l’indipendentismo come bandiera, ha ottenuto un effetto contrario a quello sperato, facendo aumentare i voti dell’opposizione.

Un buon risultato elettorale è stato conseguito anche dalla sinistra indipendentista (ERC), che ha raddoppiato i propri consensi, e dalle forze che non appoggiano il referendum sulla sovranità nazionale.

Come leggere, dunque, queste elezioni, che hanno registrato la partecipazione popolare più alta nella storia della Catalogna (69,5 per cento)? Forse lo spostamento delle preferenze verso la sinistra non va visto solo come un richiamo all’indipendenza, ma anche come grosso scontento per i tagli economici che, sia il governo centrale che quello autonomo, hanno messo in atto negli ultimi tempi. Invece, il voto contrario all’indipendentismo ha fatto crescere la rappresentanza parlamentare dei due partiti dichiaratamente contrari a separarsi dalla Spagna.

CiU, il partito di Artur Mas (destra nazionalista, ma non necessariamente indipendentista), è statoi sempre la forza più votata nelle elezioni catalane, ma solo una volta, nel 1980, aveva ottenuto un risultato sotto il 30 per cento, come in questa occasione. Da parte sua ERC (sinistra indipendentista), pur avendo raddoppiato la propria rappresentanza parlamentare, non ha raggiunto il suo massimo storico del 2003 (23 seggi). Sembra, dunque, che la sovranità non sia proprio la prima preoccupazione dei catalani, anche se ci sono ragioni storiche per difenderla.

Quando si parla della Spagna, la mente vola a tempi lontani, ma in realtà il primo re della Spagna fu Amedeo I di Savoia (1870). In precedenza, i regnanti appartenevano alla Corona di Castiglia o a quella  di Aragona. Di quest’ultima facevano parte dal 1162 le contee catalane, che erano state indipendenti dal 987, anno in cui si liberarono dal vassallaggio della Francia. Il Regno di Aragona aveva, per dirla con termini moderni, un’organizzazione federale, e la Catalogna ebbe le sue prime “Cortes” (assemblee consultive locali) nel 1192. Bisogna aspettare invece il 1516 per vedere Castiglia e Aragona riunite sotto lo steso re, pur conservando le diversità politiche e amministrative, ma non è ancora Spagna. Questa, così come l’abbiamo ereditata, la dobbiamo a Filippo V, che diede allo Stato una svolta centralista con i “Decreti di Nueva Planta”, nel 1716. Dunque, la Catalogna ha nella sua storia e nel suo immaginario collettivo almeno 145 anni di vita indipendente e altri 350 di “governo federale” insieme con Aragona. Per le rivendicazioni attuali, dunque, ci sono ragioni storiche.

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