In campeggio sui monti Sajani

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Finalmente si parte: in ambasciata ci hanno restituito i passaporti. Il visto che ci autorizza a trascorrere un mese in Siberia è stato più lungo del previsto da ottenere. Pure il bagaglio è pronto: scarponi da montagna, maglioni pesanti. Sembra impossibile, col caldo che fa a Roma, doversi equipaggiare a questo modo. Facciamo tappa a Mosca, nel focolare locale. È indescrivibile l’accoglienza che ci viene riservata. Quella stessa sera, la comunità moscovita, piccola ma vivace, si ritrova per farci festa. Non occorrono molte parole per condividere le nostre storie, per molti aspetti “parallele”. Già il fatto che io, che sono slovena, ed Eva, slovacca, ci troviamo insieme, e per di più a Mosca, a loro dice tanto. La nostra meta è però Krasnojarsk, nel cuore della Siberia. Anche lì, nel piccolo focolare, l’impressione è di trovarsi “finalmente a casa”. Da poco più di un anno, infatti, vi risiedono stabilmente Monika, tedesca, pediatra, e Teresa, polacca, che ha appena concluso gli studi di russo. Qui tutto è ricondotto all’essenziale. Non ci aspettavamo tuttavia di trovare, in piena Siberia, una città nel complesso moderna, di oltre un milione di abitanti, distesa lungo le due rive del fiume Jenisej con l’imponente centrale idroelettrica, larghi ponti e tanti edifici nuovi, teatri, cinema e negozi, che contrastano con i caseggiati enormi dell’epoca staliniana. Tra i luoghi di culto – si contano in tutto una decina di chiese ortodosse, la sinagoga e la moschea – non troviamo una chiesa cattolica. Per poter celebrare la messa per la comunità parrocchiale, i religiosi claretiani che la curano affittano quotidianamente per un’ora un edificio per concerti, la “Sala d’organo”. Un tempo era una chiesa cattolica dedicata alla Trasfigurazione. Poi, sotto il regime comunista, è stata adibita ad un uso diverso. Facciamo conoscenza con il parroco, Antoni Badura, polacco, e con alcune suore. I cattolici sono quasi tutti di origine polacca e tedesca. Hanno vissuto, o ritrovato, la loro fede in clandestinità, spesso pagando di persona. Ed anche se nel 1991 hanno ottenuto il riconoscimento ufficiale, la loro è una comunità di recente costituzione. Perciò, quando ci propongono di trascorrere con alcuni di loro un periodo di vacanza in campeggio sui monti Sajani, accettiamo volentieri: ci sembra un’opportunità per facilitare la conoscenza reciproca. È ben nota in Russia, come da noi le Alpi, quella grande catena montuosa ai confini con la Mongolia, meta di gite ed escursioni. Ed anche se ci vogliono dieci ore di Transiberiana, più altre quattro di pullman, il tragitto ci sembra breve per la incomparabile bellezza dei paesaggi. Ci addentriamo nella taiga, attraversiamo i boschi incontaminati di betulle bianche che cedono man mano il passo ai pini siberiani. Mezz’ora dopo aver intravisto all’orizzonte l’ultimo villaggio, il pullman si ferma. Dovremo proseguire a piedi. Solo ora ci accorgiamo quanto siano pesanti i nostri zaini che abbiamo caricato con la tenda e con gli indispensabili mezzi di sussistenza per dieci giorni. Lungo la difficile risalita, ci si aiuta trattenendo i rami, o ci si solleva a vicenda lo zaino sulle spalle dolenti, offrendo un sorriso o una caramella. Così cominciamo a conoscerci. La nostra carovana è composta da 25 persone, dai nove ai 44 anni. Siamo cattolici, alcuni ortodossi, qualcuno non credente. Le nostre nazionalità – polacca, armena, tedesca, slovacca, slovena e russosiberiana – sono uno spicchio rappresentativo di questo vasto mondo che vive oltre gli Urali. Con poche e piccole soste, in cinque ore arriviamo al luogo del campeggio. Si accende il fuoco, si prepara una semplice cena per tutti e l’immancabile tè. Si rizzano le tende giusto in tempo per ripararsi da uno scroscio di pioggia che durerà tutto il giorno seguente. Ci svegliamo con il sole che splende nel cielo azzurro. Dicono che di giornate così ce ne siano al massimo un paio in tutta l’estate. Perciò decidiamo di fare la nostra più un portante escursione: un pellegrinaggio sulla cima del monte Tuskancik. Facciamo cinque ore di cammino tra boschi e ruscelli. La vista è di quelle mozzafiato. Poi, proprio sulla cima della montagna, ad oltre duemila metri di altitudine, vediamo qualcosa che non ci saremmo mai aspettate: una semplice, ma bella e curata edicola della Madonna. Ci prepariamo per la messa, celebrata da padre Antoni. Mai una cattedrale ci era parsa così bella, con quel piccolo altare di roccia sotto lo sguardo di Maria dei monti Sajani, tra migliaia di cime che fanno corona. I giorni seguenti, tra sole e piogge improvvise e prolungate – siamo ormai abituati a tutto -, facciamo gite sulle varie cime, cascate, laghi. Si approfondisce la conoscenza reciproca, e lungo i percorsi, o nelle soste, affiorano vicende familiari dolorose, e le lotte sostenute per mantenersi fedeli alla propria identità culturale e religiosa che il marxismo si era proposto di azzerare. Sinaida, la nostra vicina di tenda – una colta e distinta signora sulla quarantina – ha ricevuto il battesimo di recente, alla vigilia di Pasqua. “Ho dovuto frequentare – ci racconta – molti corsi di ateismo, ma i miei nonni, cattolici polacchi, mi hanno fatto conoscere il cristianesimo”. Ci parla dell’esodo della sua famiglia, allorché essi furono messi su un treno e fatti scendere in un luogo deserto. “Ora siete liberi”, aveva detto loro chi li scortava. Sopravvissero all’inclemenza del clima – nove mesi all’anno sotto la neve, a meno di 30 gradi – ed alla pressione ideologica del kolchoz. “Ciò che li sosteneva, me ne rendo conto ora, era la loro grande fede, che seppero trasmetterci. Solo dopo il crollo del regime – prosegue – seppi che esistevano in città altri cattolici”. Per integrare i nostri semplici pasti, il bosco non è avaro di frutti. Una sorta di bacca scura simile ai mirtilli, ad esempio, è molto ricca di vitamina C. I suoi arbusti raggiungono il metro di altezza, sicché possiamo coglierli anche camminando con gli zaini in spalla, senza doverci chinare. Così, per offrire un contorno adeguato alla nostra consueta zuppa di cereali, andiamo in cerca di funghi. Incrociamo un giorno una cordata di alpinisti. Ci sentono parlare in italiano e… si fermano e ci salutano: sono bergamaschi! Grande è la sorpresa, e anche la festa al campo. Ma i frutti più preziosi e più duraturi li abbiamo potuti raccogliere dopo, al ritorno in città. Al nostro arrivo, dieci giorni fa, ci conoscevamo appena. Ora si è stabilito tra tutti un rapporto di amicizia vera, fraterna. Non vogliamo perderla. Alcuni vengono a trovarci, vogliono conoscere meglio la nostra vita, l’ideale che ci muove, e farsi conoscere a loro volta. Tamara ci invita a casa sua, nel nuovo quartiere dove abita. Apprezziamo la sua squisita ospitalità, in tempi ancora difficili, e gustiamo perciò maggiormente le semplici pietanze preparate con tanta cura. Anche lei, figlia di deportati, ha dovuto coltivare la sua fede in segreto. Ci racconta di essere stata battezzata da piccola. Ormai adulta, venne a sapere che in una città molto distante dalla sua c’era un prete cattolico. “Andai a trovarlo, spinta dal desiderio di confermare la fede”. Trasferitasi a Krasnojarsk – aveva ottenuto una cattedra di insegnamento all’università -, si mette alla ricerca di altri cattolici, anche tramite messaggi sul giornale o per radio, rischiando grosso, fino a perdere la cattedra. E fu così che, appena possibile, mise a disposizione il suo appartamento per i primi incontri, a conclusione dei quali il sacerdote celebrava la messa. Poi, affacciandoci al balcone, ci mostra la grossa croce eretta la primavera scorsa sul terreno edificabile che sono riusciti ad acquistare col contributo degli enormi sacrifici dell’intera comunità, su cui un giorno sorgerà la nuova chiesa.

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