In braccio a Dio
Mary si sorprese a respirare piano: Che sciocchezza – pensò -, il mio respiro non sveglierà certo uno che si è sobbarcato la fatica di nascere!. Ma il riflesso condizionato ebbe comunque la meglio: era una reazione di stupore alla grandezza di ciò che vedeva e che sentiva. Una nuova vita. Un uomo nel cuore dei suoi genitori, nel cuore di tanti altri uomini che avrebbe incontrato nella sua esistenza, un’entità a prolungare l’Infinito: quanti bimbi saranno stati chiamati a quel soffio nuovo, nel preciso istante di quel pensiero? Lì, nelle braccia della madre, il neonato riposava nella necessità di riprendere le forze impiegate nella lotta. Il travaglio e il parto erano stati duri momenti di scontro con l’umanità più travolgente e severa. Si parte sempre lottando. È la legge. Ma la madre aveva subito dimenticato, un velo era sceso sulla sofferenza e lui era lì, come sognato e desiderato, con tutto il suo corredo di verità e di futuro. In tutto lui dipendeva dalla fragile donna, anzi da loro, dai due genitori: la madre ancora incredula, lo teneva fra le braccia, il padre accoglieva entrambi in un ampio abbraccio, testimone di una promessa d’amore e di dedizione: come non vedere gli anelli concentrici della famiglia? Spezzane uno di questi anelli e avrai spezzato tre vite, ricordava riflettendo Mary. Il bimbo doveva sentirsi sicuro. Le voci erano sempre quelle dei mesi passati ad imparare e a crescere di nascosto. Il profumo e la morbidezza gli rimandavano sensazioni nuovissime, ma rassicuranti: eppure tutto era in agguato per lui. In tanti si sarebbero dati da fare per garantirgli il soddisfacimento dei bisogni e la serenità necessaria. Era il più fragile dei fragili. Si ripetè a memoria, di Tagore: Il bimbo possedeva mucchi d’oro e di perle/ pure venne come un men- dicante sulla terra./ Non è senza ragione che venne travestito in questo modo./ Questo piccolo caro mendicante ignudo/ finge la più completa indigenza/ per mendicare amore. Mary sedette in un angolo di quel presepe, per assaporare quegli attimi, che le avrebbero fatto dire forse un giorno: Sai, io c’ero. Gli faceva un gran bene all’animo stanco, aveva bisogno di ossigeno quella sua anima combattuta. Poi qualcosa attirò la sua attenzione: due braccia, fino ad allora per il bimbo sconosciute, lo avevano accolto con qualche titubanza, forse un’esperienza nuova anche per la ragazza. E il neonato ebbe un tremito, aprì gli occhi, alla giovane sfuggì un sorriso complice, di uno stupore impacciato, ma vicino. Il bimbo sembrò accennare un sottile compiacimento e riprese il suo sonno, per niente disorientato o allertato. Mary pensò che non poteva essere vero: avrebbe dovuto piangere su due braccia estranee, il nuovo profumo, l’incertezza… Invece quel piccolo uomo si fidava, non aveva paura di niente, si affidava senza timore a quelle braccia amiche. Un lampo e Mary pensò alla fatica che le era stata chiesta di affidarsi a Dio, alle sue braccia paterne, nonostante la ritrosia innata: poteva e doveva contare su di sé e basta. Così la dura vita le aveva insegnato. Ed ora qualcuno le rimandava un messaggio di speranza. Un neonato al suo primo giorno di vita era maestro inconsapevole per lei, che di esperienze e di giorni ne aveva così tanti. La donna si ribellava e quel piccolo si fidava ciecamente, di uno sconosciuto abbraccio. Chiuse gli occhi, si rivide in quel bambino. E chiese di avere la capacità di quell’abbandono totale in braccio a Dio. Non chiedeva chissà cosa, chiedeva di essere coraggiosa come un neonato, di avere la fiducia di un bambino.