In attivo il “saldo” dei nuovi italiani
Spunti interessanti dal messaggio di Benedetto XVI per la Giornata dei migranti e dal Dossier statistico immigrazione presentati ieri.
Due eventi in contemporanea e una matrice comune: il nostro rapporto con gli immigrati. In primo luogo la presentazione presso la sala stampa vaticana, del messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale del migrante, che sarà celebrata il 16 gennaio 2011; in secondo luogo la presentazione in trenta città d’Italia la presentazione del Dossier statistico immigrazione, elaborato da Caritas e Fondazione Migrantes, giunto alla sua XX edizione. Dimensione nazionale e mondiale che si intrecciano.
Partiamo dai dati italiani emersi dal dossier. Gli immigrati regolari presenti nel nostro Paese hanno toccato quota cinque milioni, quindi costituiscono il 7 per cento della popolazione totale. Contribuiscono all’11,1 per cento del prodotto interno lordo e versano nelle casse dell’Inps 7,5 miliardi l’anno, ricevendo in cambio poco, in quanto l’età media dei lavoratori, circa 25/30 anni, non è un’età pensionabile. Il confronto tra spese sociali per gli immigrati e tasse e contributi da loro pagati, va indiscutibilmente a vantaggio delle casse statali: si tratta in attivo di almeno un miliardo di euro l’anno. Negli ultimi anni hanno creato oltre 230 mila nuove imprese e contratto oltre 150 mila mutui per l’acquisto di nuove case. Per non dire, poi, di quello che sappiamo da tempo: in un Paese come il nostro, con un sistema economico in difficoltà, come sostiene Franco Pittau, coordinatore del dossier, «gli immigrati sono stati utili per rimediare alle carenze di manodopera in diversi settori. L’inserimento è avvenuto in misura massiccia nel settore familiare, in edilizia e in agricoltura, e in misura comunque consistente in molti altri comparti». Non hanno sottratto lavoro agli italiani, ma hanno preso i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere. E questo anche se sono culturalmente preparati, come avviene per tanti di loro.
Qualche altro dato. Più di mezzo milione di persone hanno acquisito la cittadinanza, al ritmo di oltre 50 mila l’anno; oltre 570 mila stranieri sono nati direttamente in Italia; quasi 100 mila arrivano a essere i figli di madre straniera ogni anno; più di 100 mila gli ingressi per ricongiungimento familiare. I più numerosi sono i romeni, con poco meno di 1 milione di presenze; seguono albanesi e marocchini (circa mezzo milione), mentre cinesi e ucraini sono quasi 200 mila. Gli europei sono la metà del totale, gli africani poco meno di un quinto e gli asiatici un sesto, mentre gli americani incidono per un decimo. Diversi gruppi nazionali sono insediati soprattutto nelle grandi città, come i filippini, i peruviani e gli ecuadoriani. Altri, come gli indiani, i marocchini o gli albanesi, preferiscono i comuni non capoluoghi. L’insediamento è prevalente al Nord con il 60 per cento delle presenze, segue il Centro con il 25 per cento e il Sud con il 14 per cento.
Di diritto ad emigrare parla il testo del papa il cui tema è “Una sola famiglia umana”. Siamo «una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali – sostiene Benedetto XVI – dove anche le persone di varie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze». In una società sempre più «interconnessa», il papa, rifacendosi alla Populorum progressio, ricorda come mentre «la mancanza di fraternità tra gli uomini e i popoli è causa di profondo sottosviluppo (…) essa, assunta e vissuta responsabilmente alimenta una vita di comunione e condivisione con tutti, in particolare con i migranti».
Diritto di ogni uomo ad emigrare e diritto di ogni Stato a «regolare i flussi migratori e difendere le proprie frontiere»; «dovere di integrarsi nel Paese di accoglienza, rispettandone le leggi e l’identità nazionale». In queste dinamiche sottolineate dal papa sta la sfida della famiglia umana, con «un particolare pensiero agli studenti esteri e internazionali, che costituiscono dei ponti culturali ed economici» tra il loro Paese di provenienza (presso cui torneranno) e quello di accoglienza.
Ce n’è per tutti.