In attesa degli Oscar
Professori, studenti, famiglie: andate a vedere La sala dei professori. Un thriller diretto con fredda determinazione dal quarantenne berlinese di origini turche Ilker Catak e interpretato magnificamente da Leonie Benesch nei panni di Carla Novak, giovane insegnante di matematica ed educazione fisica in una scuola tedesca. Carla, di origini polacche, crede nel suo lavoro, ama i ragazzi, non ha un rapporto troppo idilliaco con alcuni colleghi, ma è sicura di sé, convinta.
Avvengono dei furti nella scuola, alcuni studenti vengono interrogati, iniziano le indagini. Nella sala dei professori cominciano le discussioni: cosa fare, se punire o non punire, cosa dire o non dire alle famiglie. Risultato: ribellione degli studenti anche duramente contro Carla, calunniata, i familiari che credono più a loro che ai professori, disorientamento degli inseganti, durissimi. E lei, Carla, di fatto la vittima perché è la sola, o quasi, che cerca la verità e che ama davvero i suoi studenti, anche quello più ostile. Ipocrisie, razzismo strisciante, cattiverie inutili segnano il disfacimento di una “famiglia scolastica” tale solo sulla carta, perciò della società in cui viviamo.
Nel finale a scelta da parte dello spettatore, questa vicenda, in cui si dovrebbe capire che la verità coincide con l’amore, si delinea anche la crisi profonda dei ragazzi abituati ad un mondo consumista, delle istituzioni – scuola, famiglia – diventate chiuse in loro stesse, egocentriche, di un sistema educativo fallimentare sia da parte di un corpo di insegnanti disuniti e ingiustamente severi, e sia da parte di famiglie che proteggono ad ogni costo i figli, anche quando sbagliano.
Lo sguardo del regista è duro, non consolatorio, il ritmo implacabile, non lascia spazio a divagazioni sentimentali che non siano sobrie. Sotto la luce dei giorni che scorrono, di ambienti freddi di vetro e acciaio, le storie umane si svolgono e si accartocciano, i sentimenti si frantumano nella solitudine. Chi crede al proprio lavoro e alla verità si sente disarmato e di fatto emarginato. Ma Carla resiste, difende lo studente che l’accusa, rimane sospesa anche sul proprio futuro. Ma non si è tirata indietro. Scarno e splendido.
Le fantasie di Dune parte 2 – arriverà certo la parte 3 – sono infinite come i mondi che vengono raccontati dal visionario Denis Villeneuve. Riprendendoci dalla prima parte – da rivedere, sicuramente -, troviamo Paul Atreides (un Timothée Chalamet maturato) e sua madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson) rifugiati nel deserto immenso dei Fremen. Ma le armate feroci della Casa Harkonnen si muovono a distruggerli. Gli anziani della tribù credono Paul l’atteso Messia delle profezie, venuto a liberarli. Egli però non vuole accettare questo ruolo: desidera inserirsi nella vita della tribù, amare Chani (Zendaya, più decisa che mai). Come andrà a finire? Bisogna vedere il film di quasi tre ore per comprenderlo e capire che ci vuole una terza puntata.
Al di là della fotografia splendida, della visionaria e virtuosistica ambientazione, degli effetti speciali e del cast perfetto, il racconto epico e avventuroso fila piacevolmente e non stanca. Lancia messaggi non troppo sottesi: il desiderio degli oppressi di un Messia (fantasia, frustrazione o realtà?) ed in effetti Paul è una sorta di Cristo morto e risorto laicamente. La dimensione ecologica è indispensabile per sopravvivere, il potere domina e condiziona la vita sociale, i giovani devono fare i conti con esso e scegliere tra amore e responsabilità. Duelli tra contendenti, battaglie colossali sono ingredienti costanti nell’epos, ma qui c’è una società patriarcale e maschilista che deve fare i conti con le donne, tutte forti e determinanti. Paul, giovane eroe, dovrà pensarci bene, perché avrà bisogno di molto sostegno nel futuro. Buona visione di una avventura galattica e terrestre infinita.
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