In Argentina l’opposizione vince le presidenziali
Questa domenica l'elettorato argentino ha messo fine a un ciclo politico di 12 anni: la maggioranza ha votato al secondo turno per Mauricio Macri, ingegnere di quasi 57 anni, da otto anni al governo della capitale.
Macri si è affermato con un vantaggio abbastanza ridotto, meno di due punti, il 51,4 per cento dei voti, rispetto al 48,6 per cento raccolto dal suo avversario, Daniel Scioli, il candidato scelto dalla presidente Cristina Fernández de Kirchner, che starà ora meditando sulle ragioni di una cocente sconfitta della attuale maggioranza, dato che pochi mesi fa era pronosticabile una vittoria se non comoda, con un vantaggio decisamente maggiore.
Una delle ragioni è probabilmente quella di non aver colto il logorio del discorso ufficiale e della campagna elettorale che, senza fare ammenda di errori evidenti e di problemi come l'inflazione intorno al 22/25 per cento annuale, si è dedicato a spaventare gli elettori con lo spauracchio delle eventuali politiche neoliberali di Macri che avrebbero messo a repentaglio le conquiste sociali di questi anni. Alla fine, la scelta di Scioli di intimorire presentando le future decisioni del suo avversario gli ha impedito di dedicarsi a spiegare come invece avrebbe corretto i problemi dell'attuale governo, per altro appena insinuati. Una campagna, quella di Scioli, difficilissima, centrata nel prendere distanza ma non troppo dal modello dei Kirchner, dovendo rappresentare contemporaneamente la novità ma anche la continuità, più vicina alla quadratura del cerchio che a un discorso chiaro.
Infatti, nel giro di un mese il 37 per cento ottenuto da Scioli si è incrementato nel ballottaggio di un paio di milioni di voti, mentre il 34 per cento di Macri ha raccolto altri quattro milioni di preferenze.
Come si spiega questo giro politico argentino? Effettivamente, la politica economica si è caratterizzata in questi 12 anni per l'incremento del potere d'acquisto dei lavoratori, dei pensionati e per gli ammortizzatori sociali che hanno favorito la diminuzione delle sperequazioni sociali. Ma il prezzo di questi progressi è stato un altissimo livello di conflitto politico e sociale, un discorso esacerbato che ha tratto vantaggio dalla polarizzazione, spazzando praticamente le posizioni intermedie, un dilagante clientelismo, una corruzione ai più alti livelli dello Stato e sopratutto un enorme logorio istituzionale, con il potere giudiziale sotto controllo dell'Esecutivo e il Parlamento ridotto a ufficio notarile della maggioranza.
Paradossalmente, è proprio l'alleanza del Pro di Macri col centro politico la mossa che gli ha consentito di mettere fine al ciclo dei Kirchner: l'alleanza con il tradizionale partito UCR (Unione Cívica Radicale) e con Elisa Carriò, leader della Coalizione Civica. Una alleanza basata sulla necessità di recuperare l'istituzionalità persa durante questi 12 anni. Carriò è una conosciuta fustigatrice dei casi di corruzione ed è probabile che nel prossimo governo si occupi di questa funzione.
Questa scelta di fondo spiegherebbe la decisione di un elettorato che quattro anni fa appoggiò col 54 per cento dei voti la rielezione di Cristina Fernández de Kirchner, dato che è conosciuta l'inclinazione di Macri e del suo staff per le politiche neoliberiste. Sarà probabilmente questa la sua principale sfida, conservare i passi in avanti consolidati dal Paese, rimettendo in modo una economia oggi frenata da un interventismo esasperato dello Stato.
Il neoeletto presidente non potrà dimenticare infatti che in realtà quasi la metà degli elettori gli ha votato contro e che in Parlamento – dove il Pro è in netta minoranza – potrà fare ben poco senza l'appoggio di un importante settore del peronismo, in dissidenza con i Kirchner.
A partire dal 10 dicembre, con un nuovo presidente, inizierà dunque un nuovo capitolo per l'Argentina. Resta aperto il dibattito di fondo, ancora non risolto, comune oggi a tutte le democrazie latinoamericane, quello tra Stato e mercato: come generare ricchezza e come ridistribuirla. E come farlo in modo sostenibile.