Impressionisti e Moderni a Roma

Una passione sterminata per la vita dell’uomo e la natura che lo circonda, tra drammi, illuminazioni, sogni e miserie che il cromatismo ora fragrante, ora tetro, ora acido racconta l'arte di Picasso, El Greco, Van Gogh, Sisley e molti altri
Degas

Ci son mostre che sarebbe un vero peccato se si perdessero. Tanto sono ricche, e “pesanti”, come importanza e come bellezza. Fanno scoprire delle assolute novità. Per esempio. Chi direbbe che tra El Greco e van Gogh esiste un filo che magicamente li tiene legati a quasi trecento anni di distanza dalla vita dei due?

Lo scopriamo entrando nella  rassegna Palazzo delle Esposizioni a Roma e nella raccolta magnifica della Collezione Phillips di Washington. Guardiamo il san Pietro lacrimoso del Greco, le sue tinte innaturali, i sentimenti eccitati, il vento nella natura e nel volto: l' agitazione è un “tremolo fisso” nella luce. Spostiamoci infine davanti alla Casa ad Auvers di Vincent, 1890, una delle ultime opere. Vedremo un campo d’erba agitata dal vento, tinte elettriche, la natura che si muove così che il piccolo pezzo di terra diventa il cosmo intero in moto universale. Ma sia nel Greco come in van Gogh questo è moto della natura e dell’anima. E’ l’angoscia del cuore umano in cerca di pace.

Due grandi, due stili diversi, un solo modo di vedere la vita: ricerca di luce, esasperata, tale da superare lo scarto dei secoli.

Non basta. Ecco la Donna col cappello verde di Picasso (1939), una tristezza “cubista” nei grandi occhi spalancati nel vuoto,immagine di un tempo che naviga nel buio dell’esistere con quei colori rosa, blu e verde così acerbi. Mettiamola accanto alla Piccola bagnante di Ingres (1826), un nudo di donna, di schiena, caldo come un Raffaello. Sembrano lontani anni luce. Sarà vero? E perché allora la bagnante nasconde i l volto come quella di Picasso lo presenta  perso nel nulla ?Si dirà che  l’ha voluto l’artista, ed è vero. Eppure anche fra queste due opere esiste un legame, diverso certo da quello di cui abbiamo parlato prima. E’ la contemplazione della bellezza. Quella di Ingres, ancora fresca e fiorita e quella di Picasso, frantumata e dolente. E’ come un neo-secentesco Memento mori, in due segmenti  temporali.

 

Parrà strano, ma forse si possono fare le medesime considerazioni riguardo alla visione della natura. Cosa lega le Rocce a Mouthier, assolate, di Courbet alla Neve di Sisley alla Montagna di Cézanne se non un amore sterminato per la natura sempre nuova,  datrice di gioia e di colore?. E cosa unisce La Riviera di Bonnard (1923) ai Vasi di Morandi, all’Autunno di Kandisky e al paesaggio di Kokoschka?

 

Il colore muta, si fa”soffiato” o lancinante o gelido rispetto alle luci degli Impressionisti. Eppure, si tratta sempre del  filo magico, unico e  sotteso, che è quello dell’amore. Si comprende allora come la storia dell’arte  fra Otto e Novecento non sia altro che una storia di una passione sterminata per la vita dell’uomo e ciò che lo circonda. Tra drammi illuminazioni sogni e miserie che il cromatismo ora fragrante ora tetro ora acido esprime. Ma non finisce qui. Di fronte al Senza Titolo di Rothko (1968) cuore e mente, chissà come, si sentono appagati. E’ un fiotto di luce solare, bellissima, di una dimensione sovra umana dove tutto è luce e splendore. Come se il pittore fosse giunto alla sorgente prima dell’essere. E da qui poi partire a considerare la natura e l’uomo.

Ecco perché questa è una mostra da non perdere e perché questa è una collezione magnifica. Dice  tutto.

 

Fino al 14 febbraio. (catalogo Silvana Editoriale)

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