Impressionisti dal Museo d’Orsay di Parigi

Una rassegna al Vittoriano di Roma fino al 7 febbraio. Protagonisti l’uomo del secondo Ottocento, la borghesia e la nobiltà in viaggio verso il Novecento
mostra

Gli Impressionisti sono i pittori adatti a tutte le stagioni. Il motivo? Semplice: non deludono mai. Perciò la rassegna a Roma, al Vittoriano – aperta sino al 7 febbraio e dotata di un prezioso catalogo Skira – è da non perdere.

E’ un “tete  à tete” intelligente e amabile dove protagonista, questa volta, non è la natura, ma il ritratto. Scordarsi la tradizione rinascimentale e barocca, anche se  i maestri del passato (Tiziano ad esempio) sono ben presenti alla memoria. Ma ora è l’uomo del secondo Ottocento, la borghesia e la nobiltà in viaggio verso il Novecento a farsi strada. Di qui il timbro molto personale, intimistico ed autoreferenziale dei ritratti. Prendiamo Edgar Degas, il celebre pittore delle danzatrici. Nel 1855 si autoritrae su uno sfondo neutro tizianesco, con una punta di pennello in mano, vestito da gentiluomo perbene. Barbetta accennata, labbra carnose, volto pallidamente  romantico e sguardo languido. E’ lui o come lui vorrebbe essere: e pare non esista altro all’infuori di sé stesso. Oppure Paul Cézanne, calvo e barbuto, seduto a guardarci nel 1875. Oltre le macchie colorate, la finestra aperta (o è un quadro?) sul paesaggio, le ombre scure sul gilet, sono i suoi occhi a scrutarci senza alcuna paura. Paul è sicuro di sé stesso, molto più di Renoir, soffice e vaporoso come le sue donne, autoritratto con la tavolozza in mano. Gli artisti ormai sono decisi, si mostrano come fossero  anch’essi opere d’arte.

Poi, la rassegna prosegue con i ritratti dell’”intimità”. Al femminile, in particolare. Della donna infatti l’Impressionismo canta il lato delicato, profondo, pieno di vita. E inafferrabile. ”Donna, il tuo mistero è grande!”, dicono i letterati . Ecco appunto la Donna dallo jabot bianco di Renoir, pensierosa, il volto dalle guance rosate, il fiore sul vestito appuntato al petto o il busto – sempre di Renoir – della moglie, cappellino in testa, sorriso dolce, pieno di salute. Altra cosa dalla Dama con porcellana di Degas, tesa e malinconica  accanto  ad un immenso vaso di fiori rossi, essi sì colmi di gioia.

Naturalmente, non manca l’infanzia. Qui gli artisti paiono ritrovare l’innocenza i n fondo al loro cuore, sopita da chissà quanto tempo. Renoir, pittore che ama la vita, ci dona lo stupendo ritratto di Fernand bambino (1880), vestito da marinaretto su fondo rosso porpora, luminoso d’innocenza e di vivacità, oppure la piccola Geneviève, occhi azzurri che gioca con le tazzine o la ragazzina col biondo cappello di paglia o quella pallida col gatto che le fa le fusa. Momenti di  bellezza, di poesia incantata dell’infanzia priva di dolore e di ombre.

Dall’intimità alla mondanità, alla vita sociale.

Rodin scolpisce nel marmo una candida Madame Vicuna, bellezza seducente dal seno aperto sul mondo. Boldini le donne vestite di seta, toccate da scintillanti pennellate rapide, “femmes fatali” intriganti e appariscenti. E Manet nel 1869 dipinge la tela Il balcone, che è i l fiore all’occhiello della mostra romana.

Il signore in piedi col sigaro tra le dita, le donne in bianco che guardano dal poggiolo: ognuna distaccata dall’altra, persone  immerse in pensieri solitari, unite fisicamente ma non nell’anima. Manet parla dell’incomunicabilità familiare o semplicemente ritrae una scena di tranquilla indifferenza reciproca? Non lo sapremo mai. Certo, lo spirito della tela è “mondano”, ossia di uno svago sociale senza problemi, accarezzato dalla pennellata fluente e dal gioco chiaroscurale delicato com’è di Manet.

A fine rassegna, ancora ritratti. La Donna con caffettiera di Cézanne, massaia seduta in azzurro che ci osserva. Dentro e dietro a lei un mondo che forse oggi non c’è più, ma che continua a trasmettere  i l senso della figura umana, del suo animo svelato poco a poco, dell’amore di questi artisti per la verità della vita. E non è poco.

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