Impressioni da Jakarta
«Habamus papam!». In latino maccheronico, ma così recitava un’espressione entusiasta “postata” su Facebook da un islamico a Jakarta. Anche qui, nel Paese con la popolazione islamica più numerosa al mondo (86 per cento su 238 milioni di abitanti) non si può nascondere che l’elezione del nuovo papa abbia suscitato entusiasmo e attenzione, sia nella Chiesa che nel mondo non cattolico.
Sin dai primi momenti hanno colpito positivamente alcuni atteggiamenti del nuovo pontefice: il nome Francesco (noi saveriani e i gesuiti all’inizio ci chiedevamo: «Non sarà mica in onore di S. Francesco Saverio?», cosa poi smentita dallo stesso papa), il suo fare paterno e semplice, l’essenzialità del presentarsi con una semplice croce di ferro, senza la mozzetta… Non sono poi passati inosservati il pagamento del conto recandosi di persona all’albergo dove era stato ospite, il presentarsi come vescovo di Roma e non come sommo pontefice, la richiesta di preghiere del popolo per venire benedetto da Dio, e poi il discorso ai cardinali che ha lasciato intravvedere il desiderio di una più profonda comunione e collegialità nel governo della Chiesa («Voi, cardinali, siete come i preti del Santo Padre»).
Una delle cose che sorprende di più è il suo rapporto con la povertà, espressa non soltanto in un impegno caritativo verso i poveri, ma anche nel suo desiderio di avere una “Chiesa povera”, come ben esprime la scelta del nome ispirato a Francesco di Assisi. Vedremo come verrà attuato questo cammino di rinnovamento, che, immagino, non sarà privo di ostacoli, anche all’interno della Chiesa. Per questo motivo credo che la richiesta di preghiera, rivolta a tutti noi subito dopo l’elezione, sia da prendere sul serio, affinché il sostegno per il nuovo papa non si annebbi dopo i primi facili entusiasmi. Una Chiesa che si presenti in modo più semplice, e che giochi meno in difesa, sarà certamente più attraente e in grado di dialogare con la società di oggi.
Venendo a noi, penso che l’esempio di semplicità e di attenzione ai poveri del nuovo pontefice, se da un lato ci riempie di stupore e di un pizzico di orgoglio, dall’altro ci richiama tutti ad una maggior radicalità evangelica. Anche noi dobbiamo fare i conti con le nostre piccole croci d’oro, con i conti d’albergo ancora da pagare, con la scelta se viaggiare in mezzi pubblici o in auto, con quella fretta che non ci fa fermare davanti alle persone che vorrebbero incontrarci, con i poveri che, ora che è tempo di crisi, dimentichiamo, persi nei nostri veri o presunti problemi economici. Insomma, essere felici per il papa non basta, se poi quello che lodiamo nella sua persona non diventa un pungolo per cambiare il nostro modo di vivere.
Forse anche ispirato da questa nuova elezione, l’altro giorno ho visitato una zona molto povera, non lontano da casa mia, qui a Jakarta. Un incendio ha distrutto 200 o 300 abitazioni. In alcuni punti delle abitazioni è rimasto soltanto il pavimento, come se fosse successo un terribile terremoto. Per fortuna la gente ha potuto salvarsi, ma ha perso quel poco che aveva. Ora vedremo cosa sarà possibile fare per alleviare questa sofferenza, oltre al settimanale servizio che gli studenti saveriani già realizzano, insegnando ai bambini di questo quartiere. Ma la cosa che mi ha colpito di più è stato il fatto di vedere come tutte le persone incontrate sorridevano e ti salutavano con gioia: lavoravano, ripulivano, raccontavano la loro storia, ma tutto come se un evento così tragico non avesse avuto il potere di infrangere la loro forza di vivere. Su uno dei pochi muri rimasti in piedi, qualcuno ha scritto con lo spray una frase piena di speranza: «Non smettiamo di ringraziare per quello che il Signore ci dà. Tutto sarà bellissimo, a suo tempo». Quella frase mi faceva riflettere su papa Francesco che ci invita ad accostarci a chi è nel bisogno. Certamente ci spinge a dare il nostro aiuto, ma può anche darsi che ci inviti ad incontrare i poveri perché da loro avremo importanti lezioni di vita da imparare.