Impegno plurale, agenda comune

L’interrogativo è sempre lo stesso e riguarda il tema: da che parte stanno i cosiddetti praticanti? Quale schieramento spalleggiano? Per chi parteggiano alle prossime politiche?
Pier Ferdinando Casini e Andrea Olivero

8 gennaio 2013. A guardare i dati delle analisi demoscopiche, infatti, i cattolici praticanti (quasi un terzo della popolazione nazionale) si distribuiscono in maniera proporzionale alla forza elettorale dei partiti. Per tale ragione i cattolici praticanti sono maggiormente presenti nel partito di maggioranza relativa attuale, il Pd, e poi a diminuire il loro peso man mano che si riduce la consistenza dei soggetti politici. Sarebbe, quindi, un errore interpretativo se si volesse sostenere che i cattolici praticanti votino il centrosinistra, così come è stato fatto. In realtà i dati dicono che allo stato attuale non c’è una correlazione tra partiti e comportamento di voto dei cattolici praticanti. E se escludiamo la parentesi referendaria del 2005 sulla procreazione assistita, empiricamente non si registra neanche più un’influenza della gerarchia ecclesiastica sul voto dei cattolici.

Pur tuttavia non si risparmiano interviste, pronunciamenti di esperti, prelati o leader di associazioni cattoliche per commentare, indicare posizioni o per edulcorare o interpretare autenticamente le interviste del giorno precedente gli uni degli altri. Il ventennio che sta per concludersi ha avuto anche questo tratto.

D’altra parte, il cattolicesimo organizzato negli ultimi anni è stato particolarmente vitale nell’occuparsi dei temi pubblici del Paese. Basti ricordare le Settimane sociali dell’appuntamento di Reggio Calabria dalle quali uscirono proposte concrete per l’Italia; il lavoro delle sette associazioni di interesse lavoristico di ispirazione cattolica concretizzatosi negli incontri di Todi, dove nello scorso ottobre si sono elaborate proposte specifiche per uscire dalla crisi; o anche i seminari di riflessione e proposta che periodicamente organizza Retinopera, un network di diciannove associazioni e movimenti del mondo cattolico, o alle molteplici scuole di formazione politica disseminate nelle diocesi. È paradossale, quindi, che a un pullulare di iniziative, a una molteplicità di agende provenienti dagli stessi attori, spesso sovrapponibili, i cattolici non riescano a essere presenti nel dibattito pubblico, se non attraverso le gerarchie ecclesiastiche. Il dieci gennaio, quando l'appuntamento di Todi si ripeterà, sarà forse anche uno dei temi in discussione(appuntamento annullato il 9 gennaio). Il Movimento dei focolari sarà presente come una di queste realtà ecclesiali, impegnate da tempo nell'ambito sociale e civile del Paese e che può offrire alla riflessione e al lavoro politico il suo particolare contributo: fare rete tra tutte le espressioni e gli impegni per il bene comune operanti nei diversi schieramenti.

C’è estremo bisogno che, i cattolici maturino come cittadini che sappiano esercitare il diritto-dovere di voto uscendo dall’atomismo elettorale, cioè dal vivere le elezioni come fatto individuale. Bisognerebbe che i cattolici fossero capaci di vivere la tornata elettorale come comunità che discute in pubblico delle priorità del Paese offrendo le proposte proprie.

Se i cattolici hanno elaborato e condiviso analisi e soluzioni, ha anche un senso l’impegno partitico plurale. Diversamente nel tempo si continuerà a discutere dei tanti bravi e volenterosi (speriamo!) politici presenti nei diversi partiti, ma dell’irrilevanza del contributo del pensiero cattolico alle emergenze dell’Italia. Forse è giunto il momento che, accanto a una riforma delle forme della politica, ci sia una riforma delle forme attraverso le quali la società civile si presenta alle scadenze elettorali. Il guado nel quale stanno oggi i cattolici potrebbe essere foriero di novità per una maturazione dell’intera società civile del Paese. A rinnovare l’offerta politica, bene o male, ci stanno pensando diversi attori. A rinnovare i modi della partecipazione elettorale non c’è ancora nessuno

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