Impariamo dall’agricoltura

Può darsi che non l’abbiate ancora visto. Non tutti sono assidui frequentatori di supermercati. Ma l’anguria quadrata e trasparente vale un apposito passaggio in un centro di grande distribuzione. Tranquilli, però. Nessuna mutazione genetica. Semplicemente, il tradizionale prodotto estivo è stato liberato dalla buccia e la gustosa polpa, ta- gliata a grossi dadi, è stata impacchettata in confezioni di plastica che ne lasciano ammirare l’invitante colore rosso acceso. L’etichetta riporta il luogo di produzione, la data di inscatolamento, il giorno di scadenza. È un simbolo della nuova agricoltura. Altro che diavolerie di laboratorio. Semmai, innovazione nella continuità. L’anguria mangiata a fette resisterà. Se non altro per il piacere di trovarsi il viso lavato a fine consumo. Ma quanta praticità con la nuova confezione. Non si sporca la tavola e si bagnano soltanto il pollice e l’indice. Il produttore non coltiva più soltanto come ha fatto sino a poco fa. Adesso aggiunge valore ai suoi beni con servizi innovativi. È la nuova frontiera dell’agricoltura italiana, che ha favorito l’incremento delle esportazioni anche in un periodo in cui le produzioni italiane degli altri settori continuano a collezionare preoccupanti arretramenti sui mercati internazionali. Da gennaio ad aprile di questo anno, il saldo negativo della bilancia commerciale italiana ha raggiunto i 5,8 miliardi di euro. E il dato complessivo più preoccupante è la crescita negativa (-0,6 per cento) dell’economia italiana. In controtendenza è invece il settore agricolo. Nel 2004, è cresciutocon un tasso record del 10,8 per cento, dando prova di essere il comparto più dinamico nella formazione della ricchezza e nell’incremento dell’occupazione (+2,6 per cento, contro un -0,7 nell’industria). La domanda di prodotti alimentari italiani è cresciuta nel mondo, e si sono registrati incrementi nei più diversi settori, dal vino (+ 3 per cento) ai formaggi (+ 2,7).La campagna ha acquisito un ruolo determinante nell’orientare la scelta delle vacanze nel nostro paese: l’agriturismo ha continuato a svilupparsi e le aziende hanno raggiunto quota 13 mila. Un settore fortunato, quello agricolo? Nient’affatto, perché solo qualche anno fa, era il 2000, fu scosso dal terremoto della mucca pazza. Pesanti furono i problemi per le aziende, un quinto rispetto al totale delle imprese (5 milioni) operanti in Italia. Eppure, dalle stalle (si può ben dire) alle stelle, in poco tempo. Un rilancio che costituisce un esempio e un pungolo per gli altri settori produttivi italiani in stato di sofferenza. Per questo motivo abbiamo voluto ricostruire le fasi, purtroppo poco note, di un processo che sta determinando nella nostra agricoltura un radicale mutamento, culturale prima ancora che strutturale, tecnico e organizzativo. Davanti al trauma della mucca pazza, i primi a reagire furono gli agricoltori della Coldiretti, la più grande associazione in Europa, con 600 mila aziende e un milione e mezzo di iscritti. Capirono che occorreva uscire dai campi e andare nelle piazze. Ma non certo per recriminare e commiserarsi. Vollero aprire un dialogo con la gente, ricreare una corrente di fiducia, far conoscere tutta la produzione genuina che poteva essere consumata senza timori per la salute. Partì un progetto, non a caso denominata Campagna Amica. Domenica 3 dicembre 2000, nelle piazze delle principali cento città italiane, la Coldiretti invitò i cittadini ad incontri informativi con gli imprenditori agricoli locali.Fu lanciata la proposta di un patto con i consumatori e una Carta dei doveri e dei diritti dell’impresa agricola. Proprio così, prima i doveri (prevenzione dei rischi alimentari, uso di sementi e mangimi esenti da ogm e da sostanze nocive, dosi moderate di concimi per non pregiudicare le risorse idriche, fitofarmaci a basso impatto ambientale, pratiche agronomiche a tutela dell’integrità e dell’equilibrio idrogeologico del terreno) e poi i diritti, con l’impegno di offrire alle famiglie prodotti genuini, sani e sicuri. Dall’incontro con la gente, nac-quero in seguito iniziative come la proposta di legge (sostenuta da un milione di firme raccolte) sull’indicazione obbligatoria nell’etichetta dell’origine dei prodotti alimentari, in modo da conoscere l’intero percorso dal campo alla tavola. Specifiche normative disciplinano da tempo le etichette per la carne bovina (gennaio 2002) e per frutta e verdura (febbraio 2003). La riflessione avviata in quel periodo ha offerto contributi anche all’impostazione della nuova legge sull’agricoltura, definita di orientamento, che ha favorito l’attuale sviluppo. Da allora sono cresciuti il dialogo e la collaborazione con un pianeta sino a poco prima sconosciuto, quello delle associazioni di tutela dei consumatori. Numerose sono oggi le iniziative in corso tra i due mondi per assicurare alle famiglie italiane informazioni corrette, prodotti genuini e costante coinvolgimento. Molto istruttivo nel sito dell’associazione(www.coldiretti.it) il manuale del consumatore. Su fronti ben più contrapposti si erano trovati fino a quel momento agricoltori e ambientalisti, questi a tutela di una natura sfruttata dai primi. Il mutamento culturale dei produttori ha promosso il dialogo e la collaborazioni con vari organismi, da Greenpeace a Legambiente, alla Lipu. La Festa dei piccoli comuni, dove si valorizzano le produzioni tipiche locali, e la Biodomenica, giornata nazionale dei prodotti biologici, sono alcune delle iniziative più visibili, con grande concorso di pubblico, realizzate congiuntamente. Sappiamo bene quanto i produttori francesi siano fieri della loro agricoltura. Ebbene, l’innovazione culturale nel comparto italiano è stata così apprezzata da venire recepita dalla maggior organizzazione agricola transalpina, la Fnsea, che nel documento del congresso federale svoltosi nel marzo scorso, ha presentato la Carta dei doveri e dei diritti dell’azienda agricola come un testo da cui trarre ispirazione per il futuro. Ancor più significativo il rapporto con l’Unione europea. Siamo stati i primi – dicono alla Coldiretti – a dialogare con la commissione, mentre i francesi si erano ritirati nella loro conservazione e i tedeschi arroccati nella difesa della loro zootecnia. Dal confronto sono emersi elementi innovativi poi adottati nelle recenti linee di politica agricola, approvate nel 2004 in sede comunitaria. Non mancano in agricoltura ombre e limiti di rilievo. I prezzi dei prodotti dal campo alla tavola lievitano cinque volte. Tra produttore e consumatore regna ancora una serie di passaggi (anche sette) che resta spesso inconcepibile e tuttora inespugnabile. Le iniziative di promozione all’estero della ricchezza enogastronomica del Bel Paese risultano scarsamente concertate. Vedremo, inoltre, se l’istruttoria avviata sulla catena di incrementi dei prezzi dei prodotti alimentari porterà a risultati soddisfacenti. L’avvio deicontrolli da parte dell’ispettorato repressione frodi sull’etichettatura del latte fresco potrebbe rilanciare l’attenzione verso quella di frutta e verdura, ormai scomparsa dai banchi di vendita, che consentiva di conoscere origine, qualità e varietà. Ogni anno arrivano dalle più diverse latitudini 2,5 miliardi di chili di frutta e verdura, poi spacciate non raramente come produzione italiana. Difficoltà ed ostacoli non insuperabili, perché il settore non è privo di un progetto complessivo (assente altrove) e di un dinamico spirito di intraprendenza. L’opportunità di vantare ora a Parma la sede dell’Autorità alimentare europea, inaugurata due settimane fa, incoraggia a fare della nostra agricoltura un settore all’avanguardia nell’intero continente. FRANCO PASQUALI (COLDIRETTI) NIENTE DAZI, MA CERTEZZA DI PROVENIENZA Occorreva cambiare il modello di sviluppo per l’agricoltura, ricorda Franco Pasquali, segretario generale della Coldiretti, la più grande associazione europea del settore con 600 mila aziende. Su cosa si incentra la nuova fisionomia? Su alcuni elementi nuovi. Innanzi tutto, il territorio dov’è insediata l’azienda agricola. È un patrimonio che va valorizzato e il prodotto deve avere una sua identità anche territoriale. Poi, al prodotto vanno aggiunti nuovi servizi, ad incominciare da un confezionamento sempre più rispondente alle esigenze dei consumatori. Grande l’attenzione anche verso l’agriturismo. Infine, servizi al territorio, in montagna e in pianura, con la conservazione di ruscelli e del verde tramite accordi con i comuni. È stato difficile guardarsi attorno? Dovevamo svestirci di un certo corporativismo, di riferirci a noi stessi, pensando che gli altri avrebbero dovuto capirci. Come dicono ancora industria, commercio e artigianato. Così abbiamo aperto il dialogo con culture che erano lontane dalla nostra, quella delle associazioni dei consumatori e quella degli ambientalisti. Quale processo interno avete messo in moto per elaborare nuove prospettive? Primo, un cambiamento di persone. Una scommessa sulle persone nuove per cambiare anche cultura. Secondo, abbiamo capito che per andar più in fretta dovevamo fermarci a ragionare in modo sistematico. Terzo, apertura, con confronti molto più vasti, con l’adozione di strumenti (come il Forum a Cernobbio) che non appartenevano alla nostra storia. Prodotto, territorio, servizi, qualità. Non sembrerebbero trovar posto gli ogm. Infatti. In questa nuova logica, la riflessione sugli ogm si è sviluppata in modo coerente con questo modello di sviluppo, un modello non omogeneizzante, che parta nel vendere il territorio insieme al prodotto. L’attuale ogm è invece un elemento che omogeneizza il territorio, perché nasce ovunque. Tanto più che il mondo non è davanti alla carenza di produzione agricola. La fame non è un problema di quantità da produrre ma di redistribuzione. I giovani vi guardano con interesse? Molto di più. Stiamo registrando un nuovo orgoglio nei giovani a fare il mestiere di imprenditore. Non solo quelli che hanno ereditato l’azienda, ma anche giovani che entrano nel settore, magari in quelli più sofisticati, dal vino all’agriturismo . Quale sfida vi aspetta oggi? È il tempo. Fattore decisivo. Il modo, anche europeo, di affrontare i problemi è lento. Definire la nuova politica agricola comunitaria e poi avere tempi lunghi di applicazione è penalizzante. Dobbiamo cambiare rapidamente. Altro aspetto. Dobbiamo non solo far crescere le piccole imprese, ma metterle in rete. Bisogna ridare nuova attualità alle associazioni tra imprese. Il nostro paese può essere un laboratorio a livello globale per lanciare un modello di rete tra le imprese. Abbiamo già esperienze molto positive nel latte, nell’ortofrutta, nello zucchero e nella carne. Dazi per le importazioni? I dazi non servono nel lungo tempo. Occorre piuttosto gestire bene gli ingressi con controlli severi, con un percorso rintracciabile dal campo alla tavola. Certe triangolazioni, invece, mettono preoccupazione. Passate di pomodoro, olio di oliva, alcuni tipi di frutta, polli, spesso senza una chiara identificazione. Serve trasparenza e certezza di provenienza per combattere sofisticazioni e agropirateria (nomi italiani per prodotti non italiani). Noi dobbiamo essere in grado di competere come qualità oggettiva e come servizio sul prodotto. Poi sceglie il consumatore. CONFORTANTI RISULTATI I più imitati sono il Chianti, il Lambrusco, il Marsala e la Grappa. Il mercato dei falsi vini italiani è quasi uguale a quello delle nostre esportazioni. Eppure, nel primo quadrimestre 2005, la domanda dei nostri vini è salita. Negli Usa con un aumento di oltre il 10 per cento, togliendo ai francesi il primato. L’Italia è il secondo paese produttore di vino in Europa, dopo i cugini d’oltralpe, con un fatturato complessivo di circa 8 miliardi di euro, ed esportazioni superiori ai 3 miliardi di euro. Il vino è la principale voce dell’export agroalimentare nazionale. Il fatturato dell’agroalimentare nazionale (agricoltura, industria, distribuzione e servizi) vale oltre 180 miliardi di euro, circa il 15 per cento del prodotto interno. Sono oltre 3,5 milioni i turisti che scelgono mete enogastronomiche e che visitano la campagna italiana. 13 mila sono gli agriturismi pronti a garantire ospitalità. Nel 2004 l’agriturismo italiano ha fatto registrare un bilancio di circa 800 milioni di euro e un aumento del 4 per cento nel numero di aziende agrituristiche.

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