Imparare Gesù, guardando a Maria

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L’11 settembre ha reso evidente ai nostri occhi l’eccezionale serietà della situazione in cui versa oggi l’umanità. Siamo di fronte a un bivio, e tocca a noi imboccare la via giusta. Nubi oscure sembrano addensarsi all’orizzonte, solo che si pensi ai pericoli che incombono sulla pace, alla povertà di decine e decine di milioni di diseredati, alle potenzialità di manipolazione della vita umana che ormai sono a nostra disposizione. Non è un caso se, in un tale frangente storico, e all’inizio di quello che, per i cristiani, è il terzo millennio dalla venuta di Gesù, Giovanni Paolo II ha lanciato un programma energico ed esigente: “Duc in altum, prendi il largo!”. Si tratta di un invito che scaturisce dal cuore del vangelo di Gesù, un invito alla fiducia nella presenza di Dio e nell’efficacia del suo amore nella storia degli uomini. Scorrendo le pagine della Novo millennio ineunte, la lettera scritta dal papa dopo il giubileo dell’anno 2000, forte è l’impressione di un cuore giovane che batte nella chiesa del nostro tempo. “Non si tratta – scrive il successore di Pietro – d’inventare un nuovo programma. Il programma c’è già… si incentra in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste” (n.29). È un invito caldo e pressante a una “misura alta” di vita cristiana, l’unica, a ben vedere, degna dei discepoli di Gesù. Non occorre andare in cerca di chissà che, ma credere all’amore di Dio per ogni uomo e per tutti, e vivere perciò la chiesa come la casa e la palestra di una vita di comunione in cui è legge l’amarsi l’un l’altro come Cristo ci ha amati. E così immettere il lievito, il sale, la luce di quest’esperienza nella concretezza delle relazioni sociali, delle scelte politiche, delle attività economiche, dei progetti culturali. Il nuovo dono, inaspettato come il precedente e per questo ancor più gradito, che Giovanni Paolo II ci ha fatto nell’ottobre del 2002, la lettera sul rosario della Vergine Maria, si pone in ideale continuità con l’invito e il programma della Novo millennio ineunte. Lo sottolinea il papa stesso quando, nell’introduzione, definisce quest’ultima lettera “quasi un coronamento” di quella dello scorso anno. La chance e, per questo, il compito primo che c’interpella come cristiani – dice il papa – è quello non tanto d’imparare da Gesù le cose che egli ha insegnato, ma di “imparare lui”. E allora “quale maestra, in questo, più esperta di Maria?” (n.14). Perché – sono ancora sue parole – “se sul versante divino è lo Spirito il Maestro interiore che ci porta alla piena verità di Cristo, tra gli esseri umani, nessuno meglio di lei conosce Cristo” (ibid.). “Imparare Gesù”. Vedere, sentire, amare, pensare, soffrire e vivere come lui e insieme con lui, nell’amore del Padre e dei fratelli: questa è l’esistenza cristiana. Torna spontaneo alla mente uno scritto di Chiara Lubich che, tanti anni fa, subito dopo il secondo conflitto mondiale, nel ’46, diceva in modo semplice e abissale questa verità: “L’anima deve mirare ad essere un altro Gesù… prestare a Dio la nostra umanità affinché la usi per farvi rivivere il Figlio suo”. Far rivivere Gesù in noi è – come scrive Chiara – opera di Dio. Ma è necessario fare anche la nostra parte. Come? Accogliendo le sue parole di vita e imitandone gli atteggiamenti e le opere. Per questo, l’ascolto e la messa in pratica della Parola di Dio sono così decisivi per il cristiano. La recita del rosario si pone su questa lunghezza d’onda, venendo a integrare nella quotidianità della vita la meditazione della Sacra Scrittura e la partecipazione alla liturgia della chiesa. Il rosario, si potrebbe dire, è una pedagogia inventata da Maria, con il suo amore di madre, per aiutarci a “imparare” Gesù. Non meditiamo forse, nei misteri del rosario, gli eventi principali della vita di lui? E non li meditiamo imprimendoli nella mente e nel cuore per “rivestirci”, come scrive l’Apostolo Paolo, dei suoi stessi sentimenti? È così che si diventa “amici” di Gesù: frequentandolo assiduamente. Lo diceva il beato Bartolo Longo, grande propagatore di questa pratica, alla cui intuizione si deve la costruzione del santuario di Pompei dedicato, appunto, alla Madonna del rosario. Questa preghiera così semplice da poter essere la preghiera di tutti e in tutte le circostanze, ricorda il papa, “batte il ritmo della vita umana, per armonizzarla col ritmo della vita divina, nella gioiosa comunione della Santa Trinità” (n.25). E confessa: “È la mia preghiera prediletta”. Ma perché, verrebbe da chiedersi, per sintonizzare il ritmo della nostra vita sul ritmo della vita d’amore della Trinità, o, in altre parole, per stare con Gesù e immedesimarci con lui, occorre pregare con Maria? C’è qui qualcosa di profondo, che tocca le radici della fede cristiana. Guardare a Gesù in sintonia con Maria c’insegna, infatti, spontaneamente, come dev’essere il nostro cuore che desidera seguire Gesù: aperto, pienamente affidato, quasi un calice vuoto pronto ad accogliere il dono di Dio. Come lo è stata Maria nel “fiat” dell’annunciazione, mille volte ripetuto, nella gioia e nel dolore, nella luce e nell’oscurità, sino ai piedi della croce e all’effusione dello Spirito Santo nel cenacolo. In questo, Maria è il modello del discepolo che segue passo passo Gesù, perché egli riviva in lui. Da Maria impariamo lo stile della contemplazione cristiana: che non è fuga dal mondo, ma allenamento a conservare nel proprio cuore le parole di Gesù perché, al momento opportuno, esse diano frutto nella vita. Proprio come ha fatto Maria, la quale, secondo la bella espressione dell’evangelista Luca, “conservava tutte queste cose (le parole e i fatti di Gesù), meditandole nel suo cuore” (cf. Lc 2,19). Contemplare è un po’ specchiarsi in colui che si contempla, per poterlo poi rispecchiare in noi a nostra volta. La contemplazione in cui c’introducono i misteri della vita di Gesù raccolti nel rosario non è appannaggio di pochi eletti, ma possibilità offerta a chi vive gomito a gomito coi fratelli e le sorelle, nella vita di tutti i giorni. Anche a questo proposito, torna spontanea alla mente una conosciuta meditazione di Chiara: “Questa è la grande attrattiva del tempo moderno: penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti”. Maria, oltre tutto, non è soltanto un modello, sia pure il più alto e trasparente, del nostro cammino d’immedesimazione con Gesù. È qualcosa di più. È la madre di Gesù ed è, spiritualmente ma realmente, la madre nostra. Ce l’ha assicurato Gesù, prima di morire, rivolgendosi a Maria e poi al discepolo prediletto: “Ecco il tuo figlio… ecco la tua madre”. San Luigi Maria Grignion de Monfort, dalla cui dottrina Giovanni Paolo II ha tratto il motto del suo ministero, Totus tuus, afferma che due soli son capaci di formare il Figlio di Dio nella carne: lo Spirito Santo e Maria. E quando parla di Figlio di Dio pur riferendosi, in primo luogo e in modo del tutto singolare, a Gesù, si riferisce insieme a quel rivivere di lui in noi che fa anche di noi dei figli nel Figlio. Così Maria, continuando la sua missione in unione con Gesù risorto, esercita dal Cielo la sua maternità verso di noi. Se ci avviciniamo a lei, ci nutre con sapienza di quel latte spirituale che genera in noi la vita di Dio. È un ruolo che la chiesa ha sempre riconosciuto, sin dall’inizio, alla Madre del Signore. Ma negli ultimi due secoli “la presenza e la voce” di Maria – come ricorda Giovanni Paolo II – hanno acquisito un timbro e un’incisività particolari: le apparizioni di Lourdes e di Fatima, i dogmi mariani dell’Immacolata e dell’Assunzione, sino alla proclamazione di Maria Madre della chiesa, a conclusione del Concilio Vaticano II, da parte di Paolo VI, e al riconoscimento profetico del “principio mariano” come costitutivo della vita e della missione della chiesa, soprattutto oggi, da parte di Giovanni Paolo II. Tutto sembra convergere in una spinta delicata e decisa, proveniente dallo Spirito Santo, affinché ci mettiamo alla scuola di Maria per imparare Gesù: il Gesù di sempre, e il Gesù che, in noi, vuol vivere nel nostro tempo.

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