Imparare a costruire relazioni profonde

Il naturale confronto con gli altri può non essere semplice per tutti a causa di meccanismi di difesa che fanno subentrare la paura verso il diverso, lo sconosciuto. Il pericolo è di sviluppare meccanismi che, nati per difenderci dalle relazioni insane, ci portano a difenderci dai rapporti positivi.
Giovani

Le relazioni sono il nostro mondo. In esse siamo immersi. Sono il contesto in cui cresciamo, interagiamo, sviluppiamo interessi, da cui prendiamo nutrimento per imparare a saper fare e saper essere e verso il quale andiamo. Una costante delle relazioni è l’interazione, ovvero la capacità di entrare in contatto con gli altri. Essa risponde a caratteristiche di tipo personali quali l’estroversione o l’introversione, ma anche al tipo di educazione ricevuta e di esperienze vissute come la libera espressione di sé o la coartazione, la serietà e le formalità.

Intrinseco nell’interazione è il rispetto delle persone che interagiscono tra loro. Non è mai possibile nell’interazione andare oltre il livello di profondità che ciascuno ha sviluppato o scelto di adottare fino ad allora senza cadere nella violazione dell’altro.

Proprio perché siamo diversi è possibile che per alcuni l’esperienza di incontrare l’altro resti un episodio piacevole, anche ripetibile, ma circoscritto a quel preciso spazio temporale. Per altri l’esperienza di un momento è l’inizio di una sequenza di reincontri che arricchiscono, e colorano la propria vita, ma che si riferiscono a ciò che si condivide negli incontri (ad esempio interessi comuni) e non toccano ancora la sfera personale. Oppure l’esperienza assume una continuità e all’interlocutore viene concesso un accesso privilegiato al proprio mondo interno. A questo livello si tratta di relazioni che assumono una densità e profondità che può prescindere dallo spazio e dal tempo, sebbene siano in essi inserite, e che tendiamo a chiamare intime. In questi casi si fa sovente esperienza che pur risentendosi dopo molto tempo, è come se non ci si sentisse solo dal giorno prima.

È sufficiente che uno dei due interlocutori si rifiuti attivamente o inconsapevolmente di interagire allo stesso livello di profondità e la relazione assume una direzione piuttosto che un’altra. Cosa accade? L’esperienza dell’incontro con l’altro è sempre molto personale e delicata. I filosofi hanno approfondito il significato che assumono l’io ed il tu, l’alterità, il me, chi sono io per l’altro e chi è l’altro per me, fino ad arrivare al riconoscimento meno immediato che l’altro sono io per l’altro. Gli psicologi si sono soffermati sulle strutture di personalità, sui meccanismi interni che permettono di avvicinarsi e su quelli che spingono ad allontanarsi e sui i processi come il pensiero duale, l’empatia, la capacità di rispecchiamento che il dialogo tra l’io ed il tu presuppongono.

Può accadere infatti che benché si desideri di avere tanti amici quando è il momento di incontrarli o di interagire con loro, oppure di costruire la relazione, le persone si sentano inadeguate, rifiutino apertamente o utilizzino modalità come ad esempio il giudizio o il pregiudizio per evitare le situazioni di contatto e motivare la fuga. Si tratta di un evidente controsenso.

La spiegazione di ciò sta nel fatto che anche se naturalmente l’essere umano, come animale sociale, tende verso le relazioni, esistono nel nostro mondo interno sofisticati meccanismi di difesa che di fronte all’incontro con l’altro attivano delle paure. L’interazione, man mano che ne aumenta il grado di costanza e di profondità, espone alla costante scoperta, riscoperta e revisione di sé. Nell’incontro con l’altro si cresce, ci si apre al confronto, si impara, ci si educa, si scopre sempre più sé stesso. Qualora ci si senta insicuri e non in grado di padroneggiare le interazioni si può essere impauriti da esse, che portano un certo grado di instabilità che si scontra con il bisogno di sicurezza di sé per definirsi come persona stabile.

Personalmente credo si faccia confusione sui due concetti di “instabilità” intesa come insicurezza e “stabilità” intensa come fermezza. Ma proviamo a pensare all’“instabilità” come antecedente dell’apertura all’incontro, e dunque alla possibilità di lasciarsi trasformare dall’esperienza che se ne vive, ed alla “stabilità” come rischio di una chiusura all’incontro e non elaborazione ed assimilazione dell’esperienza. Le cose cambiano. Senza l’accettazione della possibilità di lasciarsi trasformare dall’esperienza non c’è cambiamento né evoluzione e l’altro da risorsa si trasforma in un limite se non in un nemico.

Per effetto della rivoluzione digitale anche la morfologia delle relazioni e delle interazioni cambia, le occasioni di confronto diretto con gli altri si riducono e le problematiche legate alla relazionalità aumentano.

L’effetto, ahimè molto attuale, è quello di sviluppare e consolidare meccanismi che, nati per difenderci dalle relazioni insane, ci portano a difenderci dalle relazioni sane. Questa condizione è fonte di non poca sofferenza per molte persone che restano escluse dalle relazioni nutrienti e intime e che dovrebbero imparare a dedicarsi uno spazio ed un tempo di riflessione per sé stesse per scoprire nuove potenzialità in sé.

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